lunedì 2 marzo 2009

Viaggio nel tempo

Venezuela, giovedì 12 febbraio 2009.
L’elicottero si solleva leggero nell’aria, sorvolando praterie e foreste, spingendosi sempre più contro l’immane massa rocciosa dell’Acopan Tepui.
Solo da qui ci si rende conto dell’immensità di queste pareti. Dal campo, giù a Yunek, queste forme bizzarre sembrano un giocattolo della natura, troppo strane per essere vere, troppo ardite per essere così gigantesche. Questo elicottero sembra più una macchina del tempo che un semplice mezzo aereo: ci fionda in pochi minuti in luoghi che non dovrebbero esistere, a caccia di dinosauri, pterodattili e mostri che vivono nelle viscere di queste montagne sconfinate.
Lentamente la gigantesca parete si avvicina; la costeggiamo a poche decine di metri di distanza, passando sotto a tetti giganteschi, sentendo la forza di gravità che ci tira giù verso i sedili. Troppa meraviglia in così pochi secondi.
Improvvisamente, dietro una quinta rocciosa, appare una cascata immensa, un getto che sgorga dalla roccia da un portale di cui è difficile stimare le dimensioni. Quel luogo l’abbiamo guardato per tanto tempo nelle fotografie, ma ora siamo qui, al suo cospetto e le fantasie si confondono subito con la realtà. Poi subito un altro portale, fossile, con delle belle palme sospese sul vuoto a cintarne l’ingresso. 
Raul comincia a far virare l’elicottero allontanandosi dalle pareti, per poi risvoltare pochi secondi dopo. Ci dirigiamo a tutta velocità contro l’ammasso roccioso, sembra impossibile non andarci contro. E invece, al momento giusto, il rotore di coda diminuisce la potenza e ci troviamo a volteggiare lenti al di sopra di una piattaforma, un balcone incredibile sospeso sopra centinaia di metri di parete. È da qui che comincerà la nostra avventura. Un balzo e siamo di nuovo sulla terra, ma qualche miliardo di anni addietro, mentre la nostra “macchina del tempo – elicottero” si lascia precipitare nel vuoto scomparendo sotto la soglia dell’orizzonte.
Ci guardiamo, siamo in quattro, Tono, Corrado, Rolando ed io. Non ci resta che cominciare a esplorare questa parete e raggiungere la grande grotta che è ormai così impressa dentro di noi da diventare qualcosa di imprescindibile, troppo importante quanto apparentemente inutile.
Stendiamo metri e metri di corda lungo un grande traverso sospeso sul mondo e giungiamo a una specie di torretta di quarzite. L’ingresso è qui, centocinquanta metri sotto di noi. Corrrado comincia a scendere. Chiodo dopo chiodo, ci lasciamo tutti inghiottire da quel vuoto verticale. Le ore trascorrono veloci, si fatica, la quarzite è maledettamente dura. Il trapano ruggisce, mastica una punta dopo l’altra, rendendo tutto molto difficile. Ma presto siamo sopra a un grande tetto, è l’ultimo tiro, il sogno è qui sotto, ormai a portata di voce. 
Pochi minuti dopo siamo tutti riuniti davanti al grande imbocco fossile. Da qui si accede a una grande galleria con soffitto e pavimento perfettamente piani: talmente regolare da sembrare quasi un hangar, scavato, sospeso nel nulla da qualche pazzo pilota di queste terre.
Molliamo tutto: telcamere, macchine fotografiche, sacchi. Quando si esplora è come se si dovesse entrare in un altro stato mentale, ci si libera di tutte le preoccupazioni, e si pensa solo al passo successivo sognando in ogni istante la visione successiva. A volte mi sembra di vivere una sorta di meravigliosa allucinazione collettiva e non mi stupirei se un giorno mi dicessero che tutto ciò che ho visto esplorando in giro per il mondo non fosse realtà ma il frutto di chissà quale arcano incantesimo. 
Abbandonata la luce dell’esterno, la galleria si fa sempre più grande e caotica fino ad arrivare a una grande frana ventosissima. Ci sparpagliamo, ognuno in una diversa direzione, alla ricerca del passaggio giusto. Dopo un primo veloce sguardo sembra difficile passare ma tornando sui miei passi, noto un buco nel soffitto. Salgo da solo e sbuco in una saletta dove entra luce, luce del sole. Da dove arriva? Preso dall’eccitazione mi infilo tra i massi, mi spingo su in una strettoia e – non ci credo – sbuco in una sala grandiosa, illuminata a giorno da un portale immenso spalancato su centinaia di chilometri di Gran Sabana del Venezuela. Che posto è questo? Sotto di me la grande cascata si lancia in una elegante danza verticale. L’adrenalina sale e comincio a urlare come un deficiente. Grida senza senso, ma così vere. Mi sento come al centro del mondo.
Gli altri sentono e mi raggiungono frementi. Sui loro volti espressioni di gioia difficilmente descrivibili. 
Mi sento onorato ad avere queste persone come compagni in questa nuova avventura. Sono persone che hanno dedicato la vita alla ricerca di luoghi, situazioni uniche, che a sentirle raccontare non ci credi, eppure sanno ancora meravigliarsi come bambini mai stanchi di giocare.
Ora procediamo insieme, risalendo il fiume in una galleria gigantesca, dove possiamo camminare tutti insieme sulla stessa fila. Avanti, avanti, avanti, non ci fermiamo mai, e se non esistesse il tempo, certo andremmo avanti per sempre. Nell’acqua nuotano piccoli pesci cechi, figli di chissà quale mondo perduto, e ad ogni curva le ombre sembrano disegnare mostri giganteschi, rimasti lì intrappolati al di fuori del tempo. Un’esplorazione così esaltante e indescrivibile non mi è capitata molte atre volte nella vita. Solo un grande lago nero, ma soprattutto la voglia di condividere anche con gli altri amici della spedizione, ci fanno tornare indietro verso l’esterno. 
Usciti ci troviamo la sorpresa di vedere passare Raul con l’elicottero proprio davanti a noi. Salgo di corsa su un masso e mi metto a saltare, sbracciami, mentre gli altri mostrano un sorriso gigantesco per fargli capire che è andata, che abbiamo fatto centro. Pochi minuti dopo lo sentiremo per radio, emozionato quasi più di noi, per la scoperta. 
Risaliamo le corde lungo la parete nel buio della notte, al di sotto di un cielo sorretto da miliardi di stelle scintillanti. Poi ci distendiamo increduli sotto un masso a fare discorsi sul futuro, su cosa ci potrebbe essere “oltre”. Decidiamo di scendere dalla montagna l’indomani, per tornare quassù con tutti gli altri.
Così la mattina dopo Raul passa attraverso le nebbie e ci viene a prendere. La macchina del tempo si adagia sulla nuda roccia. Uno sguardo e saltiamo su, di nuovo in volo, di nuovo in viaggio attraverso tutte le quattro dimensioni. Voliamo come pazzi, ridendo delle evoluzioni spaventose che ci regala il nostro amico pilota, passando radente a pareti e foreste. È una festa di colori e di emozioni. Tutto sembra muoversi con noi. Poi l’atterraggio, in retro, come se fossimo su un giocattolo a pedali, e siamo di nuovo a terra. Nella nostra terra, nel nostro tempo. Ma i sogni sono rimasti lassù, nascosti nel buio di altri tempi. E un giorno torneremo a riprenderceli. 


Grazie a tutti i compagni di questa grande avventura, veri amici insostituibili: Andrea, Tono, Corrado, mio cognato Freddy, Pierpaolo, Vitto, Carla, Marco, Alessio, Fabio, Rolando.
E grazie a Raul, al grande Jesus e a Mohi, l’indio, per averci fatto volare nel tempo. 

Datemi un pizzico, non è stato tutto un sogno, vero?

Francesco 








4 commenti:

  1. ...."soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità!"(P.Neruda).
    Un po' di pazienza ci è voluta, certo, ma stavolta i sogni hanno incontrato la felicità in un balletto di emozioni e visioni difficilmente descrivibile!Ci riesci bene come sempre, caro Cesco, e come pochissimi altri!Rileggere quanto fatto assieme è un'emozione enorme e un tuffo al cuore nelle grigie nebbie di oggi..."dove i giorni sono più lunghi e le notti più forti del mattino"...mi vengono in soccorso i cantautori della West Coast...un fuerte abrazo a te e un grazie enorme e di cuore a tutti gli HERMANOS DE LA CUEVA per quanto condiviso perchè, come diceva Michael Supertramp "la felicità non è nulla se non è condivisa"! HASTA PRONTO!!Andrea

    RispondiElimina
  2. E' emozionante il racconto, immaginarsi cos'è stata l'esplorazione di questa grotta! Ricordo - come se fosse accaduto pochi minuti fa - la corsa che abbiamo fatto nella grande galleria, urlando, gareggiando, verso un fondo sconosciuto... stupendo. Ci sono luoghi che non si possono descrivere, i Tepuy sono uno di quelli.
    Corrado

    RispondiElimina
  3. E' un sogno! Anzi, un sogno di gruppo, che è più grave! Adesso conto 1, 2, 3. Al 3 aprite gli occhi e dimenticate tutto! Uno, due, ....

    Ciao, Signapola

    PS.: di sogni del genere, fatene spesso, che abbiamo bisogno di leggere le vostre onde rem ...

    RispondiElimina