martedì 16 dicembre 2008

Sardegna...

È strano come a volte certi luoghi entrino prepotentemente a far parte della propria vita. Sono passati anni dalla prima visita alla Sardegna speleologica.
Quella volta avevo bruciato un paio di settimane di liceo ed ero partito all’avventura con un amico nuovo che sarebbe poi diventato un grande e insostituibile compagno di tante avventure. Ricordi Andrea? Quanta meraviglia di fronte ai cristalli di Suttaterra de Su Predargiu, alle gallerie di Su Bentu, ai laghi della Donini… e poi la meravigliosa Su Palu. Già allora ci eravamo fermati a Urzulei, ospiti di Antonio, che ci aveva preparato il nostro primo maialetto… prima di finire decisamente arzilli di canonau a campeggiare sul passo di Jenna Silana!


Già quella volta, lasciando le coste dell’isola sul ponte di un traghetto spazzato dal vento, sapevo che sarei tornato, perché certi posti ti entrano nel cuore e non ne escono più… E infatti eccoci qui, per l’ennesima volta, dopo alcuni altri viaggi di cui conservo teneri e fortissimi ricordi, in compagnia di persone sempre importanti.
Questa è la terza volta di quest’anno che torno in Sardegna, e ormai mi sento anche un po’ parte di questo mondo incantato che si trova al di là del mare.
La voglia di esplorare, vedere, ci ha portati a trovare anche qui grandi amici che hanno i nostri stessi sogni, che vivono di avventure grandi, di sfide esplorative infinite che ci fanno provare gli stessi sentimenti. Così ci concediamo il meraviglioso lusso di passare un finesettimana a scavare un inghiottitoio nel Supramonte di Baunei, Bacu Dolcolce, come se ci trovassimo sulle nostre montagne di casa. In mezzo ai massi, sul fondo di un budello svuotato a fatica, soffia l’aria di un mostro di calcare che sarà sempre e senza dubbio troppo grande per noi. Ma ci divertiamo a solleticarlo, e a sognare che prima o poi riusciremo a svegliarlo.
Così, attorno al fuoco alla sera, finché un generoso maialetto si abbrustolisce alla fiamma, parliamo e ridiamo, come se stessimo lì da sempre… come se la lontananza geografica non esistesse. Andrea finisce per divorare tutto del maialetto, compreso l’occhio! Eh… ormai siamo dei veri selvaggi…
E poi ieri con Vitto, sotto un cielo grigio, con il mare solcato da onde spumeggianti, a salire in cima a Pedra Longa e ad affacciarsi sugli strapiombi di un luogo dove il mare, le montagne e il mondo sotterraneo si uniscono in un intreccio magico ancora tutto misterioso. Che bella terra la Sardegna… e che bello sentirsi anche noi un po’ parte di quei luoghi… Grazie amici, ci state facendo un regalo che non ha prezzo.
Alla prossima!

martedì 2 dicembre 2008

Nell'Antro di Dedalo

Chi lo avrebbe mai pensato?
Sei in boxer che vaghi tra i corridoi di uno stabilimento termale pronto per partire per un’esplorazione estrema… Considerando gli uomini orribili mezzi nudi che ti circondano, ci sarebbe da avere veramente paura. E invece i pericoli sono ben altri.
In mezzo a un corridoio di mattonelle bianche si trova una pesante porta di ferro. Basta aprirla un attimo e tutto l’ambiente viene invaso da un vapore denso. La sensazione è simile a quando si cerca di vedere a che punto di cottura è la pasta nel pentolone bollente. Ma non siamo in un ristorante. Oltre la porta infatti una volta di roccia grondante ti accoglie nell’Antro di Dedalo, la più famosa delle “Stufe di San Calogero”. La gente di Sciacca ha sempre pensato che il Monte Kronio sia un grande vulcano ormai spento. Proprio dalla cima infatti fuoriescono da molte fratture e caverne vapori caldissimi, circa 39° di temperatura. Ora sappiamo invece che il monte non è altro che un ammasso di roccia calcarea traforata da mille cavità scavate proprio dal flusso vaporoso proveniente dalle profondità della terra.
Secondo la leggenda queste caverne sarebbero state esplorate da Dedalo circa mille anni prima dell'era cristiana: Dedalo, fuggito da Creta per paura che Minosse lo truicidasse, giunse in Sicilia dove venne accolto da Cocalo, re sicano che viveva nella città di Inico. Grato per l'ospitalità ricevuta, Dedalo costruì per il re il Castello di Camico sulla cima del Monte Kronio, nel quale il sovrano custodì i suoi tesori. Minosse, venuto a conoscenza del nascondiglio di Dedalo, raggiunse la Sicilia, in territorio agrigentino. Subito dopo, inviò dei messi a Cocalo affinché gli consegnassero il fuggiasco. Cocalo accettò la proposta e invitò Minosse al suo castello, ma mentre questi fece il bagno, lo fece soffocare dalle sue figlie, restituendo il cadavere al suo popolo e giustificando la morte del re come se fosse stata causata dall'essere scivolato nell'acqua calda.
Mah… speriamo di non fare anche noi la fine di Minosse!!
Siamo pronti, dotati di respiratori e gilet ghiacciati abbiamo il compito di trovare la prosecuzione di queste grotte oltre il Pozzacchione, limite estremo delle esplorazioni triestine degli anni 70’. Nella nostra prima discesa abbiamo lavorato alla preparazione delle attrezzature per le riprese video del documentario. Quaranta minuti al massimo di tempo, per scendere una scala di 40 metri, arrivare in galleria, montare il braccio crane, sistemare i fari e poi risalire… già, risalire, quei quaranta metri di scale fanno proprio paura. Se non hai calcolato bene i tempi il cuore comincia a battere all’impazzata e non riesci più a fermarlo… puoi solo sperare che non scoppi.


Questa volta invece lascio gli altri lavorare al video mentre io avanzo in compagnia degli amici triestini. Scendiamo veloci attraversando la Galleria Di Milia. Ad un certo punto passiamo vicino a un grandissimo vaso perfettamente conservato. Chissà quanto sarà antico… che sia stato Dedalo a portarlo quaggiù?
Quando arriviamo al Pozzacchione, Spartaco è già avanti che trapana e traversa in testa. Il calore comincia a farsi sentire insopportabile. Nonostante questo ci infiliamo in una fessura inesplorata dove scendiamo un breve saltino di un metro e mezzo. Una baggianata in condizioni normali.

Eppure quando lo supero mi rendo conto che è come se avessi sceso un pozzo da 50. Mi fermo un po’ preoccupato. Spartaco dice che oltre chiude e ho quasi una sensazione di sollievo. Risalire quei 150 centimetri mi costa una fatica allucinante. Ci riposiamo un attimo e poi Davide individua un altro passaggio effettivamente più invitante. Avanza e sparisce dalla nostra vista. Pare che ci sia una grande galleria, presto la sua voce si fa lontana, la grotta continua nella direzione giusta. Non più di un minuto dopo il nostro esploratore è di ritorno. Guardiamo il cronometro: 50 minuti. Dobbiamo uscire, subito. Altrimenti si muore. Ogni passo costa una fatica inspiegabile, ma è anche un avvicinarsi all’uscita. La penultima rampa di scale mi fa andare il battito a mille. Mi fermo ma lui non rallenta.. Qui non si torna indietro. Così avanzo lentissimamente fino alla porta di ferro, ben sapendo che se ci fossero state altre scale probabilmente ora non sarei qui a raccontarlo.
All’uscita mi butto a terra e vengo accolto da Salvatore, il custode delle terme. Mi spoglio completamente e lui mi porge un sudario bianco che ben presto dipingo con una sindone di fango. Poi mi porta un caffè… lo ringrazio, anche se non è esattamente quello che mi serve considerando la frequenza cardiaca non ancora normalizzata.
Mi dirigo verso il mio lettino e lungo il corridoio incontro tutti gli altri, da poco risaliti dal set cinematografico. Siamo tutti avvolti nei sudari, sembriamo proprio dei senatori romani. Mi siedo e racconto.
Dalle grandi vetrate entra una luce blu e rossa allo stesso tempo, un tramonto spettacolare sul Mediterraneo. Tutto appare surreale. Magico.
Mi immagino Dedalo che con le sue ali di cera vola oltre l’orizzonte, oltre anche al Castello di Camico, oltre anche a questo labirinto.

giovedì 20 novembre 2008

Gocce d'acqua


Uno scritto che tenevo nel cassetto da ormai cinque anni, mai pubblicato e divulgato solo tra pochi intimi. Proprio in questi giorni, 5 anni fa, stavamo risalendo il fianco del Canyon del Piaxtla per tornare alla civiltà dopo un'avventura indimenticabile durata 6 giorni. È stata senza dubbio la più bella spedizione a cui io abbia partecipato. Sarà stato che era la prima, sarà stato per il gruppo di sconosciuti che si era trovato per caso lì ad affrontare quelle cascate gigantesche.
O forse era solo lo scorrere del fiume, che mi faceva sentire vivo e amplificava enormemente ogni azione, ogni pensiero. Per sentire questo mi piacerebbe prima o poi tornare a Durango. 

Gocce d’acqua cadono sul finestrino del treno e vengono portate lontano, come me, attraverso il mondo.
Arrivo a Milano dove continua a piovere per tutta la sera, per tutta la notte e alla mattina, attraverso i finestrini dell’auto che ci porta in aeroporto. Piove sul mio zaino e tra i capelli. In Messico l’acqua è un bene prezioso come l’oro nei deserti che attraversiamo per ore, su un camion che sembra venuto fuori da un film, fino a Durango. Siamo in undici italiani più gli amici messicani, vogliamo scendere il Canyon di cui abbiamo sentito tanto parlare. 
Ci aspettiamo tante cose: cascate, rapide, laghi, pareti alte mille metri, tracce di antiche civiltà ed emozioni. Ma in verità non sappiamo quante delle nostre aspettative troveranno riscontro con la realtà, non sappiamo cosa troveremo su quelle montagne. Questa è avventura. 
L’elicottero vola sopra le foreste della Sierra Madre e porta notizie, immagini di quegli angoli sconosciuti.  I fotogrammi che ci mostra Tullio un po’ ci spaventano, e ci attraggono, come tutte quelle esperienze che cerchiamo di immaginare pur non avendole mai provate.Poi non c’è più spazio per questi pensieri, dobbiamo prepararci, non dimenticare nulla, viveri, corde, attrezzature, sacchi a pelo, amache... Il minimo indispensabile diventa un peso pazzesco mentre cerchi di non pensare che tutta quella roba dovrai portartela sulle spalle per giorni. 
Il camion ci allontana dalla città e dai deserti, ci porta in alto tra immense foreste di conifere. Qui su queste creste, alte più di 3000 metri, le gocce della storia del mondo si sono unite per dare vita al Piaxtla. Il rigagnolo, torrente, fiume, oceano che dobbiamo seguire, ovunque ci porterà, perché una volta dentro la sua corrente non potremo più uscirne. La sera, tra le piccole baracche di Miravalles, ormai immersa nel buio, troviamo l’acqua che ci dovrà fare da guida e, mentre il camion si allontana nella foresta, lasciandoci soli con i nostri sacchi, provo quella sensazione che mi ero immaginato già mesi prima di partire: mi sento staccato da tutto, solo il Canyon incombe ormai sulla mia mente.
Nella baracca di Don Estephan la notte non ci vuole lasciare dormire abbracciando noi cinque con la sua aria gelida, coprendo di brina le nostre amache e tutta la natura che ci circonda.
La mattina il calore del sole penetra attraverso la nebbia e ci da la forza di partire, camminare, lungo le sponde del torrente. Nel procedere stiamo attenti a non bagnarci, facciamo una fatica immensa coi nostri tre sacchi a testa sulle spalle per passar
e da sponda a sponda, di sasso in sasso. Non vogliamo capire che se vogliamo seguire il fiume, la sua strada e il suo tempo dobbiamo lasciarci trasportare, immergerci e abbandonarci al fluire della corrente.
No... il fiume ci spaventa, corre veloce, freddo, decidiamo di abbandonarlo, di salire su una montagna per raggiungerlo di nuovo oltre di essa. Ma in Messico le distanze ingannano e il fiume lontano ci chiama mormorando mentre il buio avvolge di nuovo ogni cosa e noi rimaniamo senza quell’acqua che ci spaventa e ci attrae. L’acqua che ci serve per bere, cucinare, mangiare; solo in queste occasioni capisci quanto è importante, quando sei costretto a bere l’acqua sporca, fangosa di una pozzanghera.
La mattina dopo diciamo basta, scendiamo a ricongiungerci col fiume e finalmente non esitiamo più a immergerci in esso per farci trasportare di lago in lago fino alle prime cascate dove oltre ai sacchi il fiume traditore vuole trascinare anche noi stessi.Il fiume infatti non si cura di noi, ci tratta come gocce d’acqua, che corrono verso l’oceano, pensa che anche noi possiamo volare giù dalle cascate nebulizzandoci nell’aria circostante. Invece dobbiamo attaccare i nostri goffi corpi ad un imbrago e calarci nel vuoto della prima grande cascata di 70 metri. Mentre pianto gli spit il vento mi continua a colpire, l’acqua che cade sposta tutto attorno a se, l’aria, la polvere negli occhi, i suoni, i nostri pensieri mentre il lago alla base del salto ci accoglie ruggendo e scuotendoci, avvolgendoci come una tempesta.Poi una grotta accoglie il nostro fuoco che asciuga, riscalda, e rende tutto incredibilmente surreale. Nella notte il fiume ci sussurra parole che non capiamo, fanno paura e insieme cullano il sonno come quelle di una canzone. Ore, stelle, luna, respiri...3° Giorno, ore 9.30. Il fiume curva, sto andando avanti da solo, mentre i miei compagni preparano il materiale per ripartire, salto di masso in masso, entro in acqua, la gelida acqua del mattino, supero una frana e poi lo vedo. In quel momento ho pensato che così probabilmente gli uomini del medioevo si immaginavano la fine della terra piatta, quel luogo dove il mare si getta nell’universo.
Il baratro gigantesco si apre davanti a me e il fiume vi si getta elegante e 
silenzioso, in questo anfiteatro dove si sta svolgendo lo spettacolo della natura e della nostra storia. Guardandolo da sopra non riusciamo a stimare quanto sia profondo, per dirlo bisogna guardare quel vuoto da dentro. Ormai non abbiamo più scelta, dobbiamo scendere, unirci all’acqua e seguire la sua strada.
La giornata che abbiamo trascorso su quella parete è stata troppo intensa per essere raccontata, basta dire che la cascata ci ha sbattuto, congelato, mentre gocce d’acqua entravano ovunque, nella muta, negli occhi, nei polmoni, nella telecamera, nella paura e nella meraviglia, mentre il vuoto non finiva più, le corde non arrivavano dove dovevano, il buio avanzava e tutto sembrava troppo grande per noi. Centosettanta metri di vita, di avventura, di pensieri irripetibili.
Alla base del salto troviamo una specie di uragano che spazza la superficie di un lago di oltre 70 metri di lunghezza e una montagna di detrito scivoloso che faticosamente, al buio delle lampade frontali ci porta fuori, oltre il vento del fiume. Ma non troviamo un luogo tranquillo dove ripararci, proviamo in una grotta, poi ci mettiamo all’aperto, su un enorme masso piatto e accendiamo un fuoco fumoso con la legna umida, mentre le gocce della cascata arrivano ad accarezzarci nonostante la lontananza.
Siamo distrutti, ancora carichi di adrenalina, bagnati fino alle ossa, affamati, preoccupati, ma nonostante tutto questo, tutto ci appare perfetto. La Luna a poco a poco arriva a illuminare la gigantesca cascata mostrandoci uno spettacolo mozzafiato, una striscia s’argento che attraversa la notte, sfumando nel cielo una via lattea di gocce lanciate attraverso il mondo. Notte insonne, meravigliosamente insonne: chi può dormire con uno spettacolo del genere?I pensieri corrono inarrestabili e le domande si addensano trovando per poche ore le loro risposte.
È incredibile come ci si possa trovare in quattro persone di età diverse, provenienti da luoghi diversi del mondo, ognuno con una storia diversa, qui, e vivere insieme un’esperienza del genere, condividere un sogno.

Ma quando il cielo torna a schiarirsi sappiamo che dobbiamo ripartire, abbandonare quel luogo sacro e continuare a seguire il fiume. Ore e ore, laghi dopo laghi, curva dopo curva, ogni svolta ci da qualcosa di nuovo e ci toglie un po’ di energia.
Il quinto giorno ormai siamo anche noi parte del fiume, guidati dalla sua corrente, spinti verso la meta da miliardi di gocce, a nuoto attraverso frane, pareti, rapide. Tutto diventa una corsa contro il tempo quando la sera ci accorgiamo che è finito anche l’ultimo cibo.
L’ultimo giorno camminiamo consumando le ultime energie, a volte mi sembra di non farcela più, ma dopo la grande frana il fiume si appiattisce e ci costringe a nuotare per lunghi tratti, finché troviamo una scritta nella sabbia sulla riva del fiume. Sentiamo che ormai è fatta, il Campo Base è vicino, i nostri compagni sono vicini.
Quando vediamo Tullio e gli altri venirci incontro ci gettiamo verso di loro urlando come pazzi, ci sembra di vivere un sogno.
L’ultimo lago, il più lungo, ci porta fuori dalla corrente del fiume verso le tende, incontro all’abbraccio di tutti gli amici che ci hanno a lungo aspettato.
Giorni, notti di riposo e di festa lungo le sponde del fiume, poi una sera voltiamo le spalle al fluire della corrente e sotto la luce della luna usciamo dal Piaxtla, il rigagnolo, torrente, fiume, canyon che ci ha cullato con la sua canzone.
Mentre cammino a fatica lungo il ripido sentiero è come se mi stessi svegliando da un sogno: il sogno di essere una goccia d’acqua che corre incessantemente verso l’oceano.

lunedì 17 novembre 2008

Tempo di progetti


Ormai non manca molto... La disperata ricerca di soldi per pagarmi il biglietto aereo mi ha risvegliato da un sonno che mi teneva coi piedi per terra da un paio di mesi.
Anche quest’anno si parte. Non manca molto... febbraio, in fondo sono un paio di mesi che sono certo passeranno velocissimi. La meta: Venezuela, sui selvaggissimi Tepui di Conan Doyle.
L’anno scorso quando Corrado era tornato dalla prima prospezione sul Chimanta Tepui ero rimasto subito stregato dalle fotografie che mi aveva mandato. Gigantesche muraglie di quarzite, alte centinai di metri si ergevano nella nebbia di pianori occupati da una foresta tropicale sconfinata e gigantesche grotte occhieggiavano inesplorate su precipizi impressionanti. Subito ho pensato: ci devo andare. Sono occasioni che non mi lascio scappare perché richiedono una preparazione logistica impensabile da realizzare da soli. Sono posti davvero sperduti, e tutti andiamo laggiù senza sapere se mai potremo tornarci...La lunga organizzazione di Corrado, durata un anno, ora sta cominciando a prendere anche noi. Cominciamo a parlarne sempre più spesso, si studiano le carte, i materiali, stiamo cominciando a renderci conto che si parte davvero. E che quei posti dovremo esplorarli, sfruttando a massimo quei venti giorni che vivremo laggiù.
La settimana scorsa ha cominciato a muoversi anche un altro progetto, sempre all’interno del team LaVenta: le stufe si San Calogero. La settimana prossima partiremo per la Sicilia per iniziare un grande progetto di esplorazione e documentazione in queste particolarissime grotte termali. Ma ne scriverò presto...

il grande successo del libro l'Abisso

Un carissimo amico mi ha girato queste foto. Finalmente un po' di notorietà, riconoscimento a tanti sforzi (eh, eh...).


lunedì 10 novembre 2008

La traversata della Pierre Saint Martin

Un bel video, rispolverato dopo due anni, che racconta la nostra avventura alla Pierre Saint Martin. Fu una traversata magnifica, 22 ore intensissime che sono difficili da dimenticare. Eravamo la compagnia giusta... svaccata al punto giusto ma forte e decisa a realizzare anche questo sogno. Ci siamo divertiti un mondo...
Un po' di nostalgia ce l'ho per quella mitica spedizione Pirenaika, per i luoghi, per le persone, per le situazioni irripetibili.
La Pierre Saint Martin è un luogo magico, come pochi altri... Sicuramente prima o poi torneremo a sbirciare quel mondo sotterraneo gigantesco...
Ma ora ci attendono nuovi luoghi, nuove frontiere... la mitica Pierre può attendere ancora un po' il nostro ritorno.

giovedì 30 ottobre 2008

Un lavoro indimenticabile

Un video di un lavoretto simpatico fatto ormai due anni fa. Emozionante e ben pagato. Roba per noi... ce ne vorrebbe qualcun altro di sti tempi. 

venerdì 24 ottobre 2008

Esplorazioni musicali

Giornata in compagnia di Franco e Raffaella qui nella loro stupenda casa di Osimo, nell’appennino marchigiano. Tra pranzi luculiani, video di interviste e maldestri tentativi miei di imparare qualcosa da questo “mostro sacro” (Franco perdonami il termine) della chitarra acustica italiana, oggi pomeriggio siamo riusciti anche a mettere su youtube questi due video. Circle rain è un pezzo veramente ipnotizzante, scritto da Franco dopo un concerto in cui degli strani giochi di luci davano l’effetto di una pioggia circolare. Eseguito con un delay fisso, bellissima la parte finale con gli armonici. L’altro pezzo invece è un “tradizionale”irlandese, Road to Lisdoonvarna, molto bello e poetico.

Ogni tanto si può anche stare fuori dalle grotte e fare un po’ di “esplorazione” musicale, che anche in questo campo c’è ancora molto da scoprire… anche se non si tratta di andare a –1000!

giovedì 23 ottobre 2008

Notte insonne alla scoperta dei Canyon più profondi del mondo


Ieri notte ho avuto la malaugurata idea di mettermi a esaminare alcune carte geologiche messicane della Sierra Madre Occidentale, confrontandole con GoggleEarth. Ero alla ricerca del Piaxtla, gigantesco canyon che abbiamo sceso nel 2003 col team La Venta. Circa 40 km, 1900 metri di dislivello, sei giorni di avventure indimenticabili...
In quell'occasione era stato sceso anche il Pedra Parada, altro strettissimo canyon parallelo al Piaxtla. Nel 2006 poi gli amici sardi guidati da Pierpaolo hanno sceso l'Arroyo Santa Rita, sempre affluente del Piaxtla, pochi chilometri più a valle del Pedra Parada. Otto giorni di esplorazione con una nuova cascata da 150 (nel 2003 nel Piaxtla avevamo sceso il Salto della Luna, 170 metri). 
Esaminando bene le carte ci siamo accorti di molti errori. Nella zona rimane ancora da scendere un altro canyon che promette di essere stupendo (vedi foto dall'elicottero), il Corral Falso, anche questo circa 30 km, 1500 metri di dislivello... strettissimo! Ma non attenderà troppo a lungo perché qualcuno ci sta già pensando molto seriamente. 
Altra zona mostruosa è quella del Rio Basis, che potete vedere sull'immagine di goggle maps. Mai sceso, questo canyon deve presentare difficoltà quasi insormontabili anche solo di avvicinamento. A monte e a valle non c'è nessun insediamento umano (a parte forse piantagioni di marjuana con gente pericolosissima che non ci pensa un secondo a farti fuori). Si tratterebbe di una discesa di almeno 15 giorni... forse impossibile. A meno che non si usi l'elicottero per uscire da qualche parte....
Certamente questi canyon sono molto più selvaggi e lunghi di quelli delle Reunion, considerati i più impegnativi del mondo, ma credo che molti si ricrederebbero se vedessero il Basis o il Piaxtla. Con Pierpaolo stiamo studiando un progetto esplorativo, quasi un sogno, che però siamo decisi a realizzare, forse già dall'anno prossimo. Fortunatamente abbiamo degli appoggi locali.. perché lì è veramente un casino.
Quando penso a quei luoghi mi sembra veramente incredibile che su questa terra ci siano ancora dei posti così poco conosciuti, seppur stupendi. Perché sicuramente il Piaxtla e le montagne che lo circondano sono sicuramente tra i luoghi più belli e spettacolari che io abbia mai visto. 


lunedì 20 ottobre 2008

Abisso di Malga Fossetta, quattro anni dopo.


Gli anni passano un po' per tutti... come per noi, così anche per le grotte. Era l'inverno del 2004 quando con il mio amico di Chattanuga David Cole risalivamo i pozzi di questo profondo abisso dopo avere tentato alcune infruttuose esplorazioni a - 900. Ricordo che David era venuto dagli Stati Uniti giusto per un finesettimana, per farsi questa grotta, la più profonda del Veneto, e poi risalire sull'aereo e tornarsene a casa... Proprio un bel viaggetto!«Caro dove vai questo finesettimana?» »Mah, pensavo di andare a fare una grottina fonda quasi 1000 metri in Italia, in fondo sono solo diecimila chilometri, se non ci fosse l'oceano ci andrei in macchina...» Belle cose da pazzi
 furiosi..Tornando indietro con la motoslitta attraverso la freddissima Piana di Marcesina, probabilmente entrambi ci stavamo chiedendo "chi cazzo ce l'ha fatta fare questa faticaccia mostruosa?". Anche quella volta stanchi, sfiniti, irrigiditi dal freddo polare... eppure tutto sommato contenti. Anche quando spiegavo a David che quel posto era uno dei più freddi d'Italia (la notte il termometro aveva toccato i -23°) e lui con il naso colante stalattiti di ghiaccio mi rispondeva «Yeah, I belive it!!» poteva sembrare l'inizio di un film horror e invece eravamo felici, seppur stanchi e ridotti a dei catorci viventi. 
Dopo quella volta è passato tanto tempo prima di tornarci. Per me almeno. Perché altri, Marco e la Fanny in particolare, hanno continuato a insistere che questa grotta poteva dare ancora molto, che era la punta di un iceberg, un iceberg immenso che si chiama Sistema della Bigonda, 30 km di gallerie freatiche al di sotto dell'altopiano di Asiago, più tutto quello che non si
 conosce, certamente ancora più grande e mostruoso.
Hanno insistito per quattro anni, con poco 
seguito, ma alla fine hanno dimostrato che avevano ragione. In particolare un loro socio, Simone il gigante buono, ci ha dato dentro fino a superare quella strettoia a-680 nel nuovo ramo Voglio Papà, dove anch'io avevo ficcato il naso con poca convinzione nel magico natale del 2003.
È così che, nonostante la poca voglia di spaccarsi le ginocchia, non ho saputo dire di no all'invito dei ragazzi di Schio, quando Marco mi ha detto che questo finesettimana si andava, che c'era da scendere un pozzo nuovo, oltre, ormai al di là delle strettoie. Così mi sono trovato ancora là sotto, con nuovi compagni, Carlo, Igor e l'argentino Fernand, a scendere i pozzi di questa grotta, tutto sommato bella, facile, almeno fino a un certo punto. Infatti la strettoia finale ci ha fatto tribolare come dei cani. Scherzando si diceva che nessuno potrebbe capire che cazzo significa passare un budello del genere spingendo il sacco con la testa per svariati metri. Ma soprattutto nessuno potrebbe capire perché lo facciamo. Mi immaginavo la scena in cui tentavo di spiegare a una mia fantomatica morosa cercando le parole giuste: «Non cercare di capire... Non puoi capire... Forse è meglio che non capisci (altrimenti mi daresti dell'idiota rincoglionito completamente demente)». Ancora non so perché ci caschiamo ogni volta. Sarà il richiamo dell'ignoto. La voglia di sfondare col pensiero quella roccia e vedere cosa c'è oltre, oltre, oltre e ancora oltre... Passata la strettoia c'era gente prima entusiasta che ora diceva che era l'ultima volta, che" basta" non ci sarebbe più tornato, ben sapendo che era tutto falso...
Oltre la grotta continua. Scendiamo due pozzi, molto belli (qualche contentino ogni tanto ce lo concedono queste grotte di mexx.a), fino a -750 dove la via principale si infogna ancora una volta in passaggi sogliola, che, nonostante le considerazioni di prima, tento comunque di percorrere riducendo la mia tuta a un brandello unico con dei pezzi che tengono su il resto. ma ormai sono preso dal furore esplorativo. Imbocchiamo un meandro fossile, bello, grande, fino ad una nuova strettoia caratterizzata da una serie di spuntoni affilati come spine che non contribuiscono all'integrità dei miei indumenti. Ma passo lo stesso, e vado oltre mentre i miei compagni resteranno di là ad aspettarmi. La grotta pian piano si allarga fino ad incrociare un meandro attivo, bello, comodo, che scende... 
Cammino da solo, con calma, e oltre ogni curva illumino nuovi ambienti. Dove staremo andando? Mi fermo. Sono da solo, chissà dove, se mi dovessi fare male gli altri non potrebbero raggiungermi. Penso a quanto sono distante dal mondo che conosciamo. E quanto sono vicino a nuovi mondi sconosciuti che, sono certo, neppure riusciamo a immaginare. Ma per oggi è arrivato il momento di dire basta... e tornare da dove siamo venuti.



 

The South Wind (tradizionale irlandese, arr. Franco Morone)

Sto provando a registrare un po' di pezzi che sto studiando, tanto per vedere che effetto fa essere dalla parte di quello che ascolta. Ho cominciato con questa semplice melodia irlandese. Ma presto ne saranno pronte altre. 

martedì 30 settembre 2008

Ritorno alla Preta


Quale migliore argomento per cominicare!? La Spluga della Preta sicuramente è stata la grotta che più di ogni altra mi ha insegnato cosa significa esplorare. Per curiosità oggi mi sono messo a spulciare le mie vecchie agende dove segno regolarmente dal 1998 le mie discese in grotta. Volevo capire quante volte sono sceso nella Spluga. Sapevo che erano tante... almeno dieci fino al 2002, poi c'era stato il film, almeno altre 25-26 volte, e poi tante altre per esplorare la Via Antika e non solo. Ho cominciato contarle una a una. Devo dire che non pensavo fossero così tante. Il risultato è stato un numero abbastanza spaventoso: 86.
Ottantasei volte...
Di cui cinque in Sala Nera. e circa 25 oltre i seicento metri di profondità. Dunque, 600x25=15000 metri... Non ci si pensa mai ma i numeri sono questi. E dopo la gente si stupisce quando dico che non ho più tanti stimoli per tornare in questa fantastica grotta. Oppure si meraviglia perché vado più veloce di loro nei meandri, spero ben, dopo averli percorsi decine di volte!!
Comunque nonostante tutti questi discorsi e il fare disfattistista di quest'ultimo periodo, in Preta ci sono tornato ancora una volta, l'86esima appunto, lo scorso finesettimana. Una punta tutto sommatao molto bella, in compagnia di tanta gente, ma in particolare di Salvo e Andrea, compagni storici di tante assurde avventure. La grotta è stata gentile, lascinadoci rilevare un bel nuovo ramo a -780. Cento cinquanta metri di bei meandri e condotte fossili fino a una gigantesca frana che ci ha fatto desistere. Il Ramo dei Salmoni, esplorato con Filippo lo scorso giugno. Chi è che dice che non c'è più nienete da esplorare? Purtroppo ce n'è troppo! Ma forse proprio questo è il fascino dell'esplorazione, come dice Franco Florio, l'atto di dimostrare che non c'è mai una fine.