Era il 2010, quella pazza e fulminea spedizione di due
giorni all’Abisso del Cenote sulle Conturines. Eravamo riusciti a scendere quel
baratro ed eravamo rimasti esterrefatti dalla bellezza di quella grotta nelle
viscere del ghiaccio e delle rocce dolomitiche. Ma in tutta quella frenetica
discesa eravamo riusciti a estrarne solo pochi ricordi sbiaditi, e un’unica
fotografia, sgranata e mossa, ma che dava l’idea di quel mondo enorme che si
nascondeva là sotto. E tanta voglia di tornarvi un giorno.
A distanza di cinque anni da allora finalmente ci siamo
riusciti.
Che sarebbe stata dura è stato evidente già da subito,
attraversando un passo Falzarego innevato e scorgendo la montagna avvinghiata
da dense nuvole. Avremmo potuto rinunciare subito e tornare verso la pianura
dopo esserci tristemente salutati. E invece non c’è stato verso di fermarci.
Due giorni di attesa, una squadra bella e affiatata, tanta neve che cade e
tutti gli occhi girati all’insù alla ricerca di un effimero raggio di sole.
Con due giorni di ritardo sulla tabella di marcia, sabato
mattina finalmente ci svegliamo con una giornata stupenda. Sappiamo che è un
azzardo: molti di noi potranno entrare in grotta solo per una notte, chiamati
dal lavoro a tornare già domenica mattina. E lassù resteremo pochi con una
tonnellata di materiale e tantissime cose da fare, senza neanche sapere se il
tempo ci permetterà di scendere a valle.
Ma ora o chissà tra quanti anni! La grotta è aperta, mi sono
affacciato sul suo buio profondo insieme a Daniela già quest’estate, e non
sappiamo se e quando si riaprirà ancora. L’elicottero decolla senza badare alle
nostre esitazioni, fiancheggiando le pareti del Piz Conturines e svelandoci con
un balzo un paesaggio di neve che ha più dell’himalayano che del dolomitico.
Oltre 70 cm di polvere bianca a metà ottobre, il primo manto dell’inverno. Saltiamo
giù tra i turbini e ci abbracciamo felici in quell’immensità che sembra impossibile
sia a così pochi chilometri da casa.
Siamo in ballo e adesso dobbiamo far filare tutto liscio,
con queste condizioni non possiamo permetterci leggerezze. In meno di un’ora
nella distesa innevata sorge un campo efficientissimo, tende per tutti, una
tenda cucina, elettricità, un riparo per chi si deve cambiare per entrare in
grotta e per chi sta arrivando da valle battendo la pista fino a quassù. Si
solleva la nebbia ma la strada verso l’ingresso è già tracciata e con una prima
squadra rimetto subito piede nella grotta e comincio la discesa. I pozzi sono
più ampli di cinque anni fa, le condizioni perfette, è tutto freddo e immobile,
pochissimi stillicidi, e un forte vento che soffia dalle profondità della
montagna. Superiamo una serie di passaggi che ormai erano relegati nella
memoria dei sogni: la chiocciola di ghiaccio iniziale, il tunnel del vento, il
pozzo da 30, fino ad affacciarsi sul baratro con la sua inquietante lingua di
ghiaccio sospesa. Per oggi è tutto, un’altra squadra entrerà questa notte per
finire l’armo, tentare nuove esplorazioni e montare la pazza piattaforma da cui
domani dovremo fare la scansione laser scanner del salone.
Fuori la notte è fredda, una nebbia di ghiaccio avvolge
tutto, il tempo si sta guastando. Siamo ancora più preoccupati la mattina
quando la maggior parte del gruppo, dopo aver completato la preparazione della
grotta, ci saluta. Rimaniamo davvero pochi, e per fortuna Mauro rimane per
assisterci al campo quando usciremo questa notte dopo la punta finale: dovremo
scendere, fare il servizio fotografico, effettuare le scansioni e disarmare
tutto. In sole 6 persone con un mostro di laser scanner, valigie, attrezzature
fotografiche, trapano, cavalletti, moltissimo materiale attaccato
all’imbragatura che ci tira giù verso l’abisso, come se un mostro avesse
afferrato dal buio il nostro portasacchi.
Facciamo tutto quello che possiamo fino allo sfinimento.
Robbie e Alessio scattano in continuazione, bulbi si infiammano nelle mani di
Daniela e Samuela illuminando il grandioso salone e le immagini cominciano a
emergere, mentre io e Tommaso col laser portiamo a compimento il difficile
lavoro di scansione della base del baratro.
È tardi, dobbiamo ancora disarmare tutto, ma soprattutto
dobbiamo fare la scansione dalla vertiginosa piattaforma triangolare montata
nella notte da Tono e Alberto. Dopo tutto il loro lavoro e dedizione al
progetto una rinuncia è fuori discussione.
È un lavoro vertiginoso, siamo in 3 su delle barre di
alluminio che si allungano per quasi 3 metri sul nero del pozzo (sapremo poi
dalla scansione di essere appesi a 110 metri da terra!). Uno strumento da oltre
50mila euro, e tanta paura di fare movimenti sbagliati, di terminare questa
“idea del cazzo” (testuali parole del topografo in quei momenti di follia!) con
un bello schianto e un’iniezione di paura. Non può succedere niente, tutto deve
andare liscio.
Lo scanner gira e Robbie scatta le sue foto. Le gambe e le
mani cominciano a congelarsi. Bisogna muoversi, ci scalderanno i quintali di
materiali da portare fuori entro la notte!
È un lungo lavoro ma probabilmente ormai siamo simpatici a
questa grotta, che ci lascia uscire tutti ammaccati e con centinaia di metri di
corda avvinghiati in matasse e sacchi, ma nonostante la stanchezza nella tenda
cucina rimane la voglia di scherzare e sentire le barzellette di Mauro fino
alle 4 di mattina. Siamo tutti più rilassati, ora sappiamo che possiamo
farcela, domani possiamo scendere a valle se il tempo ce lo permetterà. Ci deve
almeno concedere questo bel finale.
E la mattina il tempo è fantastico, facciamo anche volare il
drone altissimo per fotografare questa storia dal cielo. E poi il rumore del
rotore dell’elicottero compare nella valle, un tuffo nel vuoto e siamo già teletrasportati
dove eravamo partiti solo due giorni fa.
Mai come questa volta ho avuto la sensazione di essere
andato lontanissimo, eppure irragionevolmente vicino.
Il Cenote e proprio un sogno alle porte di casa, scrivevo 5
anni fa. Ed è magico quando si riescono a condividere i sogni.
Un ringraziamento generale a chi ha partecipato e alle
persone che si sono adoperate con grande fatica e dispendio di tempo alla buona
riuscita di questa operazione: Daniela Barbieri, Matteo Barison, Alessandro
Benazzato, Domenico Carletto, Samuela Dal Maso, Luca Dal Molin, Tono De Vivo, Filippo
Felici, Mauro Lampo, Francesco Lo Mastro, Andrea Pirovano, Enzo Procopio,
Alessio Romeo, Alberto Righetto, Tommaso Santagata, Francesco Sauro, Robbie Shone. Hanno contribuito alla riuscita della spedizione il Club Speleologico Proteo, il Gruppo Speleologico Padovano e il Gruppo Grotte Treviso. Un grazie a Carlo Piovesan per la realizzazione della piattaforma smontabile in alluminio per il laser scanner.
Un sentito grazie all'Ufficio Parchi della Provincia Autonoma di Bolzano per l'autorizzazione accordataci.
Un sentito grazie all'Ufficio Parchi della Provincia Autonoma di Bolzano per l'autorizzazione accordataci.
Si
ringraziano inoltre la Commissione Centrale per la Spelelogia CAI per il
supporto, la ditta Gruppo Servizi Topografici per il Laser Scanner, Elifriulia
così come gli sponsor e patrocinatori Federazione Speleologica Europea,
Tiberino, Scurion, Intermatica, dall’Associazione francese Spélé’ice,
dall’Associazione La Venta, BEE1, Sovendi, la Società Speleologica Italiana ed
il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico.
Volando verso le Conturines (foto A. Romeo). |
L'ingresso in veste invernale (foto A. Romeo). |
Dentro il Tunnel del Vento (foto A. Romeo). |
Tommaso si prepara alla prima scansione nel salone di base del Baratro Paolo Verico (foto A. Romeo). |
Il Baratro Paolo Verico, con la sua lingua di ghiaccio ad oltre 150 metri dalla base (foto A. Romeo) |
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