Attilio Benetti, 1923-2013 |
Attilio Benetti, Tilio per i suoi amici, se ne è partito per la sua ultima esplorazione il 20 aprile di quest'anno. Una persona che ha rappresentato per molti un punto di riferimento, per le sue storie speleologiche, le sue conoscenze scientifiche, ma soprattutto per la sua statura di grande saggio, sempre con i suoi sguardi e le parole giuste per trasmettere la sua profondissima passione per la ricerca, l'esplorazione, l'avventura nel suo significato più amplio.
Non molte persone conoscono
le storie legate alle esplorazioni speleologiche effettuate dal Tilio negli
anni 60 e 70. Tuttavia Attilio ha rappresentato una delle radici basilari della
speleologia veronese e italiana, partecipando dapprima alle spedizioni del
Gruppo Grotte Falchi di Mario Cargnel e poi fondando insieme a un gruppo di
giovani la Società Amici della Natura nel 1960.
Prima di tutto bisogna
ricordare che Attilio è nato e cresciuto in un luogo particolare, una contrada
che prende il nome proprio dal “Covolo”, grande caverna che ha sempre
esercitato un forte fascino sia per la mitologia del luogo sia per l’interesse
scientifico di chi come lui, già da giovanissimo, era spinto dalla curiosità di
conoscere fossili, rocce e le strane formazioni del mondo sotterraneo.
Tilio mi ha raccontato che
già bambino, negli anni trenta, aveva deciso di esplorare quella grande caverna
che si apriva proprio dietro le mura di casa. Dopo aver rubato i cerini, una
candela e un filo di lana (per non perdersi) dai cassetti di casa, si era
diretto verso il buio della grotta, solo e spavaldo come solo i bambini sanno
essere. Scendendo però tra i massi aveva avvertito una voce mostruosa, che minacciava
di bollirlo in un pentolone se avesse continuato. Convinto che si trattasse di
uno di quegli orchi di cui si narrava nelle serate di filò se ne era scappato.
In realtà il padre aveva notato la mancanza della candela e capite le
intenzione del giovanissimo Attilio lo aveva preceduto nella grotta.
Lo spavento non fu
sufficiente a fargli passare la curiosità verso ciò che si celava nelle
“spiughe” che si aprivano nei pascoli dei monti lessini e così ben presto
cominciarono le scorribande nelle varie grotte della zona, a sfatare miti e
leggende, ma anche a creare nuovi interrogativi quando vi incontrava strane
formazioni o resti di animali impressionanti come l’orso delle caverne. A quel
tempo la speleologia non era organizzata, ci si improvvisava esploratori e così
pure le tecniche erano assai approssimative.
Tuttavia questo non impedì al
Tilio nel 1952 di offrire il proprio aiuto allo storico soccorso dello
speleologo francese Marcel Loubens che era precipitato nell’abisso della Pierre
Saint Martin, un pozzo profondo ben 346 metri. Attilio si trovava in Francia
per lavoro e saputo dell’incidente si era recato sui Pirenei, per offrire il
suo aiuto nelle difficili manovre di recupero della barella sul profondissimo
pozzo. Poi purtroppo lo speleologo francese morì e si decise di non rischiare
la vita dei soccorritori, tuttavia il fatto che Attilio fosse lì in un momento
storico così importante ci da un’idea di quanto fosse già radicata in lui la
passione per l’esplorazione delle caverne.
Erano gli anni in cui stavano
riprendendo le esplorazioni della Spluga della Preta, la mitica cavità
lessinica, di cui il Tilio aveva sempre sentito parlare e sulla cui imboccatura
si era affacciato numerose volte. È così che nel 1958 lo vediamo protagonista
della prima spedizione dei Falchi alla Preta, in qualità di incaricato delle
ricerche geologiche.
Nel 1960 partecipa come
allievo al secondo corso nazionale di speleologia della neonata Scuola
Nazionale di Speleologia del CAI. Allievo ma con ormai svariati anni di attività
da autodidatta, finisce infatti alla fine a fare la parte dell’istruttore…
Lo stesso anno tornerà nella
Preta insieme coi Falchi anche nel 1960 e poi nella superspedizione del 1962,
insieme ad altri amici della neofondata Società Amici della Natura. In
quest’ultima occasione scenderà fino alla base del terzo pozzo a quasi 400
metri di profondità in compagnia col Prof. Mario Bertolani di Modena. Saranno i
primi ad effettuare studi sulla meteorologia ipogea e sulla stratigrafia
dell’abisso.
Il 1964 vede il Tilio
impegnato nell’organizzazione della spedizione alla Preta della SAN, conclusasi
tragicamente con l’incidente mortale della speleologa Marisa Bolla Castellani.
Attilio fu il primo a tentare di soccorrere la ragazza, rischiando la vita pure
lui dato che la scala a corda si era sganciata dall’attacco principale ed era
trattenuta solo da un piolo incastrato in uno spuntone di roccia. Una storia
che il Tilio preferisce non raccontare e che l’ha segnato profondamente.
Nello stesso anno Attilio
organizza una serie di spedizioni della SAN in Puglia, grazie all’appoggio del
Prof. Parenzan. È durante una di queste campagne che viene esplorata la Grava
della Ferratella, la cui profondità venne stimata in ben 320 metri. L’accesso
venne poi ostruito e da allora nessuno è mai riuscito ad accedere alla
misteriosa voragine.
Un altro capitolo importante
dell’attività speleologica del Tilio riguarda le ricerche speleologiche nella
valle dei Covoli di Velo, una zona ricchissima di grotte e di grande interesse
paleontologico. Già negli anni ’50, allargando un pertugio in fondo alla Grotta
Inferiore, Attilio aveva individuato una grande sala, la cui paleosuperficie
risultava assolutamente intatta, con decine di scheletri integri di orso e
leone delle caverne. La scoperta rimase segreta e il cunicolo venne occluso, ma
ben presto saccheggiatori e scavatori abusivi riaprirono il passaggio
distruggendo il deposito paleontologico. Negli anni successivi Attilio tentò in
tutti i modi di chiudere l’accesso alla grotta, onere che spettava alla
sovrintendenza dei Beni Culturali che però non si era mai adoperata in tal
senso. Ci sono voluti oltre quarant’anni per riuscire a proteggere il sito
efficacemente e se non fosse stato per il Tilio e per un convegno sulle grotte
da lui organizzato insieme al Museo civico di Storia Naturale di Verona e alla
Commissione Speleologica Veronese, probabilmente la grotta sarebbe ancora
oggetto dei devastanti scavati dei venditori di reperti paleolontologici.
Eppure pochi si sono adoperati per ringraziare il Tilio per tutti gli sforzi
per salvare quell’enorme patrimonio scientifico.
Negli anni successivi
l’attività speleologica del Tilio si è ridotta, concentrandosi maggiormente
sugli aspetti paleontologici e sulle sue “amate” ammoniti. Tuttavia non sono
mai mancati i consigli e l’interesse per ciò che veniva esplorato nei Monti
Lessini, rimanendo in questo sempre un “esploratore” fino nel profondo, una
passione per ciò che è ignoto sicuramente derivata anche dalle tante esperienze
speleologiche fatte negli anni ‘50, ‘60 e ‘70.
Un’attività speleologica
fatta di grandi soddisfazioni, amicizie, ma anche fatti tragici che tuttavia
non hanno mai fermato la sua passione per la ricerca e per tutto ciò che rimane
ignoto sotto la superficie della terra.
E così l’Attilio rappresenta
un grande punto di riferimento per tutti i giovani speleologi che negli anni
sono passati dalla sua casa a sentire i suoi appassionanti racconti di
esplorazioni e discese. In quella stanza, intrisa dal fumo del trinciato forte,
sono nati sogni, idee, progetti, nuovi gruppi speleologici, esplorazioni…
Quando negli ultimi anni
passavo di lì con i corsi di speleologia, alla vista di tante nuove persone che
seguivano le sue orme di bambino verso il Covolo, i suoi occhi erano sempre lucenti
di felicità. Ci fermavamo nella sua mitica casa, scambiavamo poche parole,
quelle che bastavano per farci capire che era come se lui fosse sempre con noi
durante le nostre discese ed esplorazioni. Era un rivivere reciprocamente storie
ed emozioni, le nostre di giovani speleologi, le sue di grande patriarca della
Lessinia.
Ora che il Tilio non c’è più,
mi piace pensare che scendendo nel Covolo forse saremo capaci di sentire la
voce di quel bambino, che con un filo di lana e pochi cerini, si sta
avventurando nella più eccitante esplorazione della sua vita.
Francesco Sauro
GRAZIE
RispondiEliminaRENATO BENETTI