Uno scritto che tenevo nel cassetto da ormai cinque anni, mai pubblicato e divulgato solo tra pochi intimi. Proprio in questi giorni, 5 anni fa, stavamo risalendo il fianco del Canyon del Piaxtla per tornare alla civiltà dopo un'avventura indimenticabile durata 6 giorni. È stata senza dubbio la più bella spedizione a cui io abbia partecipato. Sarà stato che era la prima, sarà stato per il gruppo di sconosciuti che si era trovato per caso lì ad affrontare quelle cascate gigantesche.
O forse era solo lo scorrere del fiume, che mi faceva sentire vivo e amplificava enormemente ogni azione, ogni pensiero. Per sentire questo mi piacerebbe prima o poi tornare a Durango.
Gocce d’acqua cadono sul finestrino del treno e vengono portate lontano, come me, attraverso il mondo.
Arrivo a Milano dove continua a piovere per tutta la sera, per tutta la notte e alla mattina, attraverso i finestrini dell’auto che ci porta in aeroporto. Piove sul mio zaino e tra i capelli. In Messico l’acqua è un bene prezioso come l’oro nei deserti che attraversiamo per ore, su un camion che sembra venuto fuori da un film, fino a Durango. Siamo in undici italiani più gli amici messicani, vogliamo scendere il Canyon di cui abbiamo sentito tanto parlare.
Ci aspettiamo tante cose: cascate, rapide, laghi, pareti alte mille metri, tracce di antiche civiltà ed emozioni. Ma in verità non sappiamo quante delle nostre aspettative troveranno riscontro con la realtà, non sappiamo cosa troveremo su quelle montagne. Questa è avventura.
L’elicottero vola sopra le foreste della Sierra Madre e porta notizie, immagini di quegli angoli sconosciuti. I fotogrammi che ci mostra Tullio un po’ ci spaventano, e ci attraggono, come tutte quelle esperienze che cerchiamo di immaginare pur non avendole mai provate.Poi non c’è più spazio per questi pensieri, dobbiamo prepararci, non dimenticare nulla, viveri, corde, attrezzature, sacchi a pelo, amache... Il minimo indispensabile diventa un peso pazzesco mentre cerchi di non pensare che tutta quella roba dovrai portartela sulle spalle per giorni.
Il camion ci allontana dalla città e dai deserti, ci porta in alto tra immense foreste di conifere. Qui su queste creste, alte più di 3000 metri, le gocce della storia del mondo si sono unite per dare vita al Piaxtla. Il rigagnolo, torrente, fiume, oceano che dobbiamo seguire, ovunque ci porterà, perché una volta dentro la sua corrente non potremo più uscirne. La sera, tra le piccole baracche di Miravalles, ormai immersa nel buio, troviamo l’acqua che ci dovrà fare da guida e, mentre il camion si allontana nella foresta, lasciandoci soli con i nostri sacchi, provo quella sensazione che mi ero immaginato già mesi prima di partire: mi sento staccato da tutto, solo il Canyon incombe ormai sulla mia mente.
Nella baracca di Don Estephan la notte non ci vuole lasciare dormire abbracciando noi cinque con la sua aria gelida, coprendo di brina le nostre amache e tutta la natura che ci circonda.
La mattina il calore del sole penetra attraverso la nebbia e ci da la forza di partire, camminare, lungo le sponde del torrente. Nel procedere stiamo attenti a non bagnarci, facciamo una fatica immensa coi nostri tre sacchi a testa sulle spalle per passar
e da sponda a sponda, di sasso in sasso. Non vogliamo capire che se vogliamo seguire il fiume, la sua strada e il suo tempo dobbiamo lasciarci trasportare, immergerci e abbandonarci al fluire della corrente.
No... il fiume ci spaventa, corre veloce, freddo, decidiamo di abbandonarlo, di salire su una montagna per raggiungerlo di nuovo oltre di essa. Ma in Messico le distanze ingannano e il fiume lontano ci chiama mormorando mentre il buio avvolge di nuovo ogni cosa e noi rimaniamo senza quell’acqua che ci spaventa e ci attrae. L’acqua che ci serve per bere, cucinare, mangiare; solo in queste occasioni capisci quanto è importante, quando sei costretto a bere l’acqua sporca, fangosa di una pozzanghera.
La mattina dopo diciamo basta, scendiamo a ricongiungerci col fiume e finalmente non esitiamo più a immergerci in esso per farci trasportare di lago in lago fino alle prime cascate dove oltre ai sacchi il fiume traditore vuole trascinare anche noi stessi.Il fiume infatti non si cura di noi, ci tratta come gocce d’acqua, che corrono verso l’oceano, pensa che anche noi possiamo volare giù dalle cascate nebulizzandoci nell’aria circostante. Invece dobbiamo attaccare i nostri goffi corpi ad un imbrago e calarci nel vuoto della prima grande cascata di 70 metri. Mentre pianto gli spit il vento mi continua a colpire, l’acqua che cade sposta tutto attorno a se, l’aria, la polvere negli occhi, i suoni, i nostri pensieri mentre il lago alla base del salto ci accoglie ruggendo e scuotendoci, avvolgendoci come una tempesta.Poi una grotta accoglie il nostro fuoco che asciuga, riscalda, e rende tutto incredibilmente surreale. Nella notte il fiume ci sussurra parole che non capiamo, fanno paura e insieme cullano il sonno come quelle di una canzone. Ore, stelle, luna, respiri...3° Giorno, ore 9.30. Il fiume curva, sto andando avanti da solo, mentre i miei compagni preparano il materiale per ripartire, salto di masso in masso, entro in acqua, la gelida acqua del mattino, supero una frana e poi lo vedo. In quel momento ho pensato che così probabilmente gli uomini del medioevo si immaginavano la fine della terra piatta, quel luogo dove il mare si getta nell’universo.
Il baratro gigantesco si apre davanti a me e il fiume vi si getta elegante e
silenzioso, in questo anfiteatro dove si sta svolgendo lo spettacolo della natura e della nostra storia. Guardandolo da sopra non riusciamo a stimare quanto sia profondo, per dirlo bisogna guardare quel vuoto da dentro. Ormai non abbiamo più scelta, dobbiamo scendere, unirci all’acqua e seguire la sua strada.
La giornata che abbiamo trascorso su quella parete è stata troppo intensa per essere raccontata, basta dire che la cascata ci ha sbattuto, congelato, mentre gocce d’acqua entravano ovunque, nella muta, negli occhi, nei polmoni, nella telecamera, nella paura e nella meraviglia, mentre il vuoto non finiva più, le corde non arrivavano dove dovevano, il buio avanzava e tutto sembrava troppo grande per noi. Centosettanta metri di vita, di avventura, di pensieri irripetibili.
Alla base del salto troviamo una specie di uragano che spazza la superficie di un lago di oltre 70 metri di lunghezza e una montagna di detrito scivoloso che faticosamente, al buio delle lampade frontali ci porta fuori, oltre il vento del fiume. Ma non troviamo un luogo tranquillo dove ripararci, proviamo in una grotta, poi ci mettiamo all’aperto, su un enorme masso piatto e accendiamo un fuoco fumoso con la legna umida, mentre le gocce della cascata arrivano ad accarezzarci nonostante la lontananza.
Siamo distrutti, ancora carichi di adrenalina, bagnati fino alle ossa, affamati, preoccupati, ma nonostante tutto questo, tutto ci appare perfetto. La Luna a poco a poco arriva a illuminare la gigantesca cascata mostrandoci uno spettacolo mozzafiato, una striscia s’argento che attraversa la notte, sfumando nel cielo una via lattea di gocce lanciate attraverso il mondo. Notte insonne, meravigliosamente insonne: chi può dormire con uno spettacolo del genere?I pensieri corrono inarrestabili e le domande si addensano trovando per poche ore le loro risposte.
È incredibile come ci si possa trovare in quattro persone di età diverse, provenienti da luoghi diversi del mondo, ognuno con una storia diversa, qui, e vivere insieme un’esperienza del genere, condividere un sogno.
Ma quando il cielo torna a schiarirsi sappiamo che dobbiamo ripartire, abbandonare quel luogo sacro e continuare a seguire il fiume. Ore e ore, laghi dopo laghi, curva dopo curva, ogni svolta ci da qualcosa di nuovo e ci toglie un po’ di energia.
Il quinto giorno ormai siamo anche noi parte del fiume, guidati dalla sua corrente, spinti verso la meta da miliardi di gocce, a nuoto attraverso frane, pareti, rapide. Tutto diventa una corsa contro il tempo quando la sera ci accorgiamo che è finito anche l’ultimo cibo.
L’ultimo giorno camminiamo consumando le ultime energie, a volte mi sembra di non farcela più, ma dopo la grande frana il fiume si appiattisce e ci costringe a nuotare per lunghi tratti, finché troviamo una scritta nella sabbia sulla riva del fiume. Sentiamo che ormai è fatta, il Campo Base è vicino, i nostri compagni sono vicini.
Quando vediamo Tullio e gli altri venirci incontro ci gettiamo verso di loro urlando come pazzi, ci sembra di vivere un sogno.
L’ultimo lago, il più lungo, ci porta fuori dalla corrente del fiume verso le tende, incontro all’abbraccio di tutti gli amici che ci hanno a lungo aspettato.
Giorni, notti di riposo e di festa lungo le sponde del fiume, poi una sera voltiamo le spalle al fluire della corrente e sotto la luce della luna usciamo dal Piaxtla, il rigagnolo, torrente, fiume, canyon che ci ha cullato con la sua canzone.
Mentre cammino a fatica lungo il ripido sentiero è come se mi stessi svegliando da un sogno: il sogno di essere una goccia d’acqua che corre incessantemente verso l’oceano.