lunedì 4 ottobre 2010

Cenote, un sogno alle porte di casa

«I piccoli sogni abitano dietro casa. I grandi viaggi finiranno quando non si avrà più il coraggio di sognarli.» M.R.

Ho gli occhi che bruciano del riflesso del sole sulla neve fresca, mentre un fastidioso nevischio trasportato da una leggera brezza continua a sferzarmi il viso. Dietro di me un serpentone di gente arranca faticosamente lungo una morena sovrastata da alte pareti su cui occhieggiano imbocchi di grotte inesplorate. Qualche escursionista passando lungo il sentiero guarda stranito i nostri zaini enormi, carichi di matasse di corda, tende, piccozze, chiodi da ghiaccio, caschetti speleo e altre diavolerie. Sembriamo una spedizione che si sta avviando a conquistare qualche montagna in chissà quale luogo sperduto del mondo. E invece no… siamo sulle montagne di casa, le Dolomiti, un luogo che non riusciamo mai a realizzare definitivamente quanto sia unico e magico, quanto poco o niente abbia da invidiare ad altre montagne, magari più alte, più grandi, ma mai più eleganti. Esplorare quassù è un grande privilegio. Le Dolomiti sono la frontiera della speleologia del futuro. Lo penso affacciandomi sulle altissime pareti di San Cassiano, a 3000 metri di altezza, osservando un tramonto che colora una distesa di montagne sconfinate: Civetta, Marmolada, Sella, Sassolungo, Odle… Quante pareti, quanta roccia, e chissà quanto ancora si nasconde là dentro di quel Regno di Fanes, quel luogo magico, che deve esistere, e noi lo sappiamo.

Siamo quassù, in cima alle Conturines, per esplorare uno degli abissi più in quota delle Alpi. Un ingresso grandioso, a 2930 metri, il Cenote, detto anche “Buco nell’Acqua”. Già… perché se voi cercaste questa grotta su una cartina scoprireste che un tempo questo ingresso enorme era un bel laghetto alpino dalle acque blu scuro, che se ci guardavi dentro sembrava non avessero fondo. Nel 1994, pare in seguito a un crollo della parete, il lago si è improvvisamente svuotato. Tolto il tappo, come da una gigantesca vasca da bagno. E si è aperto l’accesso a una grotta, scavata attraverso un grande ghiacciaio interno, un luogo freddo, sferzato da un vento sinistro, troppo affascinante e spaventoso per rimanere lì inesplorato.

Oggi siamo qui insieme agli amici del CSProteo di Vicenza, in particolare Matteo e Lina, compagni di altre esplorazioni, con cui condividiamo il modo di pensare, di essere, di concepire quella speleologia che va oltre le frontiere. Con loro anche Angelo e Gianpaolo. Gian in particolare è l’unico tra noi che è entrato nel Cenote cinque anni fa. Insieme con il compianto Paolo Verico, erano stati trasportati lassù da un elicottero della finanza, per poi scendere nel ghiaccio per oltre 100 metri fino ad affacciarsi su una voragine profondissima che non avevano potuto scendere per mancanza di materiali. Il vento freddo che congelava le tute e le attrezzature bagnate, insieme con il brutto male che si era portato via Paolo pochi mesi dopo, avevano poi smorzato gli entusiasmi esplorativi. Nessuno da allora è mai tornato laggiù.

Questa volta siamo un bel gruppo motivato, legato da una forte amicizia, deciso a tornare a casa con un bel risultato, anche per ricordare Verico e dare luce a quel grande pozzo che lui aveva scoperto cinque anni fa. Molte sono le incognite. Prima di tutto il meteo. Di questa stagione a tremila metri non si scherza, una bufera di neve può farti perdere la strada del ritorno, il freddo può fare il resto… Seconda, il ghiacciaio interno: cosa sarà successo in questi anni? Il passaggio sarà ancora aperto? Terza: il caldo e il sole. Sì perché anche una giornata troppo bella e calda rischia di sciogliere la neve e far precipitare nella grotta una cascata di acqua che il vento è capace di congelarti addosso, per farti finire come un succulento stoccafisso della bofrost. E poi tutto il resto.

Montato il campo all’ingresso, grazie anche a quattro di noi che si sono prestati come portatori e che ora ridiscendono a valle, la prima squadra si prepara ad entrare. Sono le 5 del pomeriggio e le nebbie che ci hanno accompagnato fin d’ora cominciano a diradarsi mostrandoci l’imbocco nella sua imponenza. Luca, Gian e Jean Pierre, dopo aver litigato con il trapano, che come sempre si rifiuta di andare nei momenti importanti, cominciano la discesa del ghiacciaio interno. Le cose sono abbastanza cambiate rispetto al 2005, la via nel ghiaccio si è spostata e bisogna seguire l’aria per trovare la strada giusta. I tre arrivano così a un fondo cieco, sembra che non ci sia speranza. Ma, come al solito, Jean ha l’intuizione giusta e con una breve risalita a piccozza e ramponi raggiunge una finestra che da accesso a un incredibile condotta di ghiaccio che porta su altri pozzi tra le pareti di roccia e il ghiacciaio. È sera ed entra una seconda squadra. Matteo, Lina e Angelo che hanno il compito di avanzare fino all’imbocco della voragine interna e tentare di scenderla. Io, Crispino e Doomenico aspettiamo ancora fuori fino a mezzanotte che esca nel frattempo la prima squadra. Quando entriamo scendendo veloci lungo le corde troviamo Lina alla disperata ricerca di un po’ di stillidio per riempire delle bottiglie. Ci avverte che la situazione là sotto non è delle più amene, tutti stanno soffrendo la sete. La grotta è in condizioni ottimali, asciutta, fredda, congelata. Ma secca. Soffriremo tutti moltissimo, perché quella poca acqua di scioglimento che beviamo è senza sali, quasi amara, e fa male. Ma non ce ne rendiamo conto e la pagheremo poi cara risalendo con nausea e conati di vomito.Quando arriviamo in cima al pozzone, Jean sta risalendo, mentre Matteo e Angelo sono sotto un centinaio di metri. So capire ormai solo sentendo il tono della voce di Jean che cosa c’è la sotto. Il pozzo deve essere davvero enorme e c’è molta incertezza sul fatto che le corde che abbiamo possano bastare. Dobbiamo recuperare una 30, l’ultima e scendere dagli altri, ma siamo scettici di poter toccare il fondo. Scendiamo veloci lungo una grandiosa lingua di ghiaccio mentre l’ambiente si apre sempre più sotto di noi perdendosi in un nero spaventoso. Con un pendolo si raggiunge la parete di roccia e ci si rende conto che il ghiacciaio è sospeso come un gigantesco trampolino che si affaccia nel vuoto. Altri cinquanta metri più in basso troviamo gli altri due appollaiati su un minuscolo terrazzino. Ci dicono che in totale abbiamo ancora 50-60 metri di corda, guardando giù si intravede il fondo, un ambiente gigantesco, nero nerissimo. Angelo, risale, mente Matteo rimane con me e Cristiano che sta scendendo. Dall’ultimo frazionamento lo vedo scendere e diventare sempre più piccolo. Giunta le corde e continua nel vuoto per almeno sessanta metri. Da sopra la visione è impressionante. Vedo un omino minuscolo sperduto in un ambiente gigantesco. Poi di colpo una bestemmia rimbomba tra le pareti del pozzo. Tre metri… mancano solo tre metri di corda al pavimento! Sembra una presa in giro. Siamo tutti concordi che non usciremo da qui se non avremo raggiunto il fondo di questo baratro. Così Matteo si sacrifica risalendo il pozzo per recuperare la corda del traverso che si trova in testa alla voragine. I suoi ramponi stridono contro la parete, mentre pezzi di ghiaccio continuano a cadermi addosso… uno mi colpisce il braccio… la cosa mi mette ansia, ma alla fine va tutto bene e Matteo fa ritorno con la corda necessaria.

Questa volta non è una bestemmia ma un urlo di soddisfazione che rimbomba nel pozzo quando Cris tocca il fondo. E anch’io continuo a urlare mentre scendo. Non ho mai esplorato un ambiente così impressionante. Ci troviamo nel salone tutti e tre per un autoscatto di rito e poi, stanchissimi, ci mettiamo a girare nell’ambiente, senza altre velleità esplorative. Il pavimento della sala è un enorme rock glacier. L’ambiente supera i 100-120 metri di lunghezza raggiunge i 60 metri nel punto più largo, 40 in quello più stretto. Il baratro ha quindi un volume di circa 900.000 meri cubi. Non sappiamo quanto sia profondo il ghiaccio, ma con ogni probabilità si tratta del più grande ghiacciaio interno esplorato delle Alpi. Addirittura sul fondo del salone si può osservare una sorta di cordone morenico, che ci dice che tutto quell’ammasso si muove, si modifica.

Siamo tutti e tre molto emozionati. Io e Teo siamo però anche molto stanchi. Sono le 5 di mattina, siamo a circa –280 di profondità, e sappiamo che da fuori difficilmente scenderà qualcuno ad aiutarci a disamare. Per fortuna che l’adrenalina ha rinvigorito Cris che risalirà disarmando tutto senza fare una piega, mentre noi ci avviamo con i sacchi verso l’esterno. Sopra il pozzone troviamo Lina, unica che ha avuto pietà di noi ed è scesa ad aiutarci. Penso che si sarebbe meritata anche lei la discesa del pozzone e mi spiace non potergli dire «vai, scendi a vedere che c’è là sotto…»

Tante volte pensiamo che per trovare cose che ci emozionino, per esplorare davvero sia necessario andare lontano geograficamente. Risalendo penso che “andare lontano” non sia questione di chilometri, di angoli opposti del mondo. Si può essere distanti da tutto anche nelle montagne di casa. Si possono scoprire cose mai immaginate anche qui. Penso di non essere mai andato così lontano come quei momenti passati nell’enorme buio del Cenote, nel cuore delle nostre montagne.

Al rifugio scorrono fiumi di birra, mentre qualcuno si accascia russando sul tavolo tra le risate degli altri, solo un po’ più lucidi. Anche se nessuno lo dice, sappiamo che tutti i brindisi vanno a Paolo Verico, al suo Baratro, che a lui dedichiamo, come è giusto che sia… perché le persone rimangono legate per sempre ai luoghi che illuminano. Anche e soprattutto qui, nel cuore delle Dolomiti.

Francesco Sauro

Hanno partecipato (in ordine sparso)

Matteo Burato, Lina Padovan, Angelo Roncolato, Gianpaolo Visonà, Martina Schiavinotto, Greta Guidi, Winder Alexander Gonzales, Federico Buia, Domenico Carletto, Luca Gandolfo, Jean Pierre (Marco) Zocca, Cristiano Zoppello, Francesco Sauro.

Sporgendosi dalle creste sulle vertiginose pareti di San Cassiano.

L'ingresso con le tre tende del campo avanzato.

L'inizio del ghiacciaio interno.

Cominciando la discesa nei primi 100 metri di ghiaccio.


Un pozzo interno tra roccia e ghiaccio.


La condotta scavata nel ghiacciaio dalla corrente d'aria.

L'imbocco del pozzo da 150 metri.

Il Baratro Paolo Verico, dal basso.

Autoscatto nel salone.

Tramonto dalle Conturines verso le Odle.

Il gruppone.

domenica 22 agosto 2010

Ora d'aria in Preta

Non si può restare chiusi in casa per troppo tempo. Eccovi due foto scattate durante una fulminea discesa del primo pozzo della Preta accompagnando per breve tratto gli esploratori che questa notte hanno individuato nuove vie nella Vecchia Signora... Chissà che non si apra una nuova stagione di scoperte... 










mercoledì 18 agosto 2010

Verso Cimia

Esplorare significa percorrere un territorio, imparare a conoscerlo passo dopo passo, capirne i capricci, le stranezze, il carattere... e infine sapersi far guidare da quell'istinto che non nasce da noi, ma dalla nostra unione con quell'ambiente, da una sorta di interazione energetica che fa in modo che già "sappiamo" ancora prima di voltare l'angolo e scoprire cosa ci sia oltre.

Conoscere le viscere di un massiccio carsico è un'operazione intellettuale che richiede anni di fatiche, di sogni, di smentite e di sorprese. E più quel labirinto diventa grande, più ci si ritrova persi e ci si rende conto che il vero obbiettivo non è trovarne l'uscita, ma costruire una geometria, una sorta di mandala gigantesco che sgorga dalla nostra mente e si materializza in un luogo. 
Quest'anno il labirinto ci ha portato verso Cimia. Questo posto, una specie di terrazzo sospeso sopra i versanti della Val Falcina, rappresenta per me ancora qualcosa di misterioso e ammaliante. Lontano da qualsiasi punto di appoggio, raggiungibile solo attraverso sentieri ripidissimi. Lontano da tutto. Ma così vicino a quell'idea del sistema che ci stiamo costruendo nella nostra testa da renderla reale.
È stata senz'altro la più bella avventura di questo campo estivo 2010. Decisi fino alla testardaggine a partire, in tre uomini e una quota rosa, più il Mauretto di ritorno da Isabella che non poteva esimersi di fermarsi a farci compagnia.
Poteva non esserci nulla, ma le vene del sistema erano ormai così scoperte che non poteva esimersi da rilassarsi un po' e lasciarci esplorare.
Ne è bastato uno di buco, uno dei sicuramente tanti pozzi che la mughera, sorta di selva dantesca della perdizione, custodisce tra i suoi tentacoli. Grotta bellissima che abbiamo la fortuna di scendere io e Jonny, mentre Mauretto e la Greta si cimentano in improbabili equilibrismi sul mugo alla ricerca di altre entrare all'epica frase di "Ok, ora andiamo!".
Subito non ci credevamo, ma il grande pozzo continuava a scendere con una candida lingua di neve e ghiaccio e ci inghiottiva in gallerie tracheali dai pavimenti ghiacciati. Avrà avuto il mal di gola la signora? E noi stavamo lì a fargli il solletico fumandoci una meravigliosa sigaretta nel cuore di una condotta freatica di 5 metri di diametro. È stata davvero una delle esplorazioni più entusiasmanti che io abbia fatto, sarà perché sembrava tutto così incredibile ma in fondo così lineare e ovvio considerando il resto del sistema che si diramava tentacolare sotto i nostri piedi. 

Ora non mi preoccupa quale sarà il futuro dell'Abisso Bluet, il suo passato è già scritto e a noi basta sognare abbastanza per ripercorrerlo fino a riperderci nuovamente nel labirinto a disegnare nuovi percorsi. E poi ci si è aperta la porta del Walalla quando quell'incredibile arcobaleno si è stagliato dalla Gusela al Pizzocco, dopo ore di canti assurdi ad aspettare sotto i faggi grondanti pioggia il ritorno del sereno...



Verso Cimia.

Mauro e il Chulasco.

Mauro e l'abitante del Chulasco

Cimia.


Abisso Bluet.

Bluet un po' fradici e con facce poco intelligenti... vedi Jonny. 

lunedì 2 agosto 2010

Eterni Piani Eterni

Scendo da solo lungo il Porzil, senza niente nello zaino, ho lasciato lassù tutto, ben cosciente che non è finita, che questo è solo un parziale e momentaneo ritorno alla realtà.
Sono mesi che questi Piani Eterni sono nella mia mente. Dopo il Venezuela, il Messico e tante altre avventure sembra incredibile come un luogo alle porte di casa possa diventare il proprio eldorado, la personale atlantide, il labirinto minoico tanto sognato.
Eppure, accarezzando le vene di questo specie di essere vivo che si muove sinuoso al di sotto di meravigliose montagne, ci si scopre sempre più pieni di interrogativi e ogni luogo si lega a un altro, attraverso nuove informazioni e indizi. Una specie di caccia al tesoro, un gioco ridicolo ma serissimo, che ti porta a non fermarti mai. Ogni galleria porta a un bivio e ogni diramazione a un altro bivio e così via sviluppandosi come una tela di ragno di cui potremo consoscere sempre e solo una minima porzione. Perché saremo sempre costretti a fare delle scelte ed è evidente che il senso totale di quell'universo sotterraneo rimarrà sempre incomprensibile per noi. Eterni Piani Eterni.



Lo specchio di Biancaneve, sifone al termine delle grandi gallerie dello Zio Tom. (foto F. Sauro)


Il Teatro, nel ventre di Moby Dick. (foto F. Sauro)


Sempre il Teatro. Alle spalle del fotografo iniza la forra del Pequod, esplorata la scorsa settimana fin sotto al Pian di Cimia. (foto F. Sauro)


Un giorno qualcuno entrerà da lì, sconfiggerà il minotauro e uscirà di qui? Fontanon della Stua. (Foto F. Sauro)


Porta di servizio? Bus del Caoron, Val Canzoi. (Foto R. Tanduo)






martedì 25 maggio 2010


Giovedì 27 maggio 2010, Villa Pisani – ore 21,00
Serata di proiezione di video e documentari
Ai Confini del Mondo

con apertura serale della mostra temporanea
Viaggi sotterranei. Naica, la grotta dei cristalli giganti e altre meraviglie del mondo sotterraneo
Museo civico, in collaborazione con l'Associazione Speleologica La Venta.

"Ai confini del mondo", serata di proiezione di filmati e trailer che presentano gli attuali progetti del team La Venta, dai ghiacciai della Patagonia e dell'Antartide, alle grotte più antiche del mondo sui Tepui venezuelani, all'esplorazione delle Stufe di San Calogero in Sicilia.

Alle soglie del terzo millennio parlare di “esplorazione geografica”, in un mondo dove l'espansione umana e la documentazione satellitare sembrano aver messo sotto controllo ogni lembo di natura, può sembrare fuori luogo. Ma non è così.
C’è ancora molto da scoprire nelle regioni più remote della superficie terrestre, e moltissimo al di sotto di essa, dove si stendono ancora quasi inesplorate le Terre della Notte.
La divulgazione dei risultati delle ricerche è il complemento indispensabile di ogni esplorazione. La Venta dedica quindi particolare attenzione alla qualità della documentazione, dal livello di divulgazione di base a quello di pubblicazione scientifica. Questo ha consentito la realizzazione di articoli sulle maggiori riviste mondiali e una forte presenza televisiva, sia in Italia che all'estero.
Nei suoi quasi vent’anni di attività La Venta ha effettuato spedizioni in molti luoghi del mondo: dall’Asia Centrale alla Patagonia, dal Myanmar al Venezuela, Islanda, Antartide, Mongolia, Messico, e Albania.
Uno scopo essenziale delle ricerche del team La Venta è quello di contribuire in modo concreto alla conservazione delle aree su cui si opera e alla sensibilizzazione delle popolazioni che vi gravitano. Tante tragiche esperienze di secoli di ricerca geografica ci hanno insegnato che esplorare non basta, se non si cerca di capire che cosa si è esplorato e il modo per conservarlo. Proprio per questo l’attività principale dei progetti di ricerca portati avanti è la documentazione geografica, non solo delle grotte esplorate, ma anche della loro relazione fisica e culturale con l’ambiente in cui sono.


sabato 8 maggio 2010

Ciò che è tornato... ciò che è rimasto

Giorni. È passata già quasi una settimana dal nostro ritorno quaggiù. Mi ci è voluto molto tempo questa volta per metabolizzare che questo lungo e intenso viaggio è ritornato dove era partito.
Eppure continuo a sognare la notte tante cose, luoghi, persone che abbiamo incontrato lungo la strada, sogni rimasti ancora da realizzare. Sono come tante immagini che ogni tanto mi tornano davanti agli occhi.
Quanto di me è tornato? e quanto è ancora sui Tepui o in viaggio attraverso le foreste del Chiapas? Non lo so...
Una parte di me, ora che è qui, vuole ricominciare anche a percorrere i luoghi alle porte di casa, Piani Eterni, Preta, Sardegna.
Ma molto rimane in Venezuela e in Chiapas... perché molte persone con cui abbiamo vissuto esperienze uniche sono laggiù, e ci mancano.
Riguardando le oltre 1000 foto scattate ho deciso di pubblicare una selezione che più riguarda le persone che i luoghi. Ognuna di queste foto ha rappresentato un momento intenso del viaggio e rappresenta per me qualcosa che va oltre la realtà e si confonde un po' con il sogno. In questi giorni infatti mi trovo spesso a pensare che questi ultimi mesi non possono essere stati del tutto realtà... frutto piuttosto di qualche sostanza allucinogena... Chi lo sa... come l'anno scorso ho bisogno di un pizzico per rendermi conto che sono sveglio.


La partenza da casa di Betty e Mauricio a Caracas.


Prima di prendere il volo.


Raul e Carlita all'eliporto Guacamaya.


Vitto, uomo Amphibius.


Quanto tempo per questa foto...

Raul tra le nuvole.

Freddison e il Cesna.


Aspettando che Raul scenda dal Kukenan.


Surfisti caraibici.

Sfrecciando sull'Orinoco.


Incontri sulle rapide del Sipapo.

Esploratori d'altri tempi all'Autana.

Alfredo e la mangiatrice di tarantole.

Señor tu erese el dueño de l'oro y de la plata...



Ilanos watching.

Cotorras, istoplasmi e funghi vari (umani).

E tutta quest'acqua dove andrà?


Il pacifico non proprio pacifico.

Ultimi tramonti.

sabato 1 maggio 2010

Messico, Venezuela e ritorno


Qui dove tutto era cominciato, nella meravigliosa casa di Betty e Mauricio a Caracas, mi trovo a scrivere l'ultima volta sul blog durante questo lungo viaggio di tre mesi.
In relatà sono successe moltissime cose dopo l'ultima volta che sono riuscito a postare qualcosa. La spedizione in Messico, tra la gente di Cardenas e le gigantesche gallerie del Puercoespin, il riposo sul Pacifico, il ritorno a San Fernando dei giorni scorsi, le ultime ore nella folle Caracas. Certo non mi basterebbero tre ore per scrivere di tutto questo.
Nelle settimane scorse ho lasciato che Natalino, ottimo compagno di tribolazioni organizzative di Chiapas 2010, narrasse ciò che succedeva tra i coni carsici della selva sul blog la venta.
Io mi riprometto di scriverne presto al mio ritorno in Italia, perché molte sensazioni, soprattutto quelle legate agli incontri con la gente che vive in queste terre, sono rimaste indelebili e uniche.
Diciamo che nelle ultime settimane mi sono lasciato sprofondare nell'avventura esplorativa messicana, inisieme agli amici di spedizione, cosicché le chiamate verso l'italia si sono fatte sempre più rade e così pure le visite a internet. Siamo rimasti isolati in quella realtà come se ormani ne facessimo parte. Proprio una bella spedizione che non lascia respiro, non lascia il tempo di pensare ad altro se non a quello che ti sta intorno.
Ora incomincia il duro viaggio verso casa, verso la realtà.
Nell'attesa di foto e nuovi racconti vi invito a visitare il bog la venta, dove le parole del Nat ben rendono l'idea di questa atmosfera che molto goffamente ho cercato di descrivere in queste poche righe.

A presto, dall'Italia




sabato 3 aprile 2010

Dall'Amazonas alle Ande

Sono passate ormai due settimane dall’ultime notizie pubblicate su questo blog. Siamo ora a Merida, a raffreddarci all’aria delle Ande dopo le caldissime giornate nelle foreste amazzoniche dell’Alto Orinoco.
Di cose ne sono successe molte e non mi basterebbe questa notte intera per scrivervele. La nostra prospezione sui Tepui amazzonici purtroppo non ha centrato l’obbiettivo principale che ci eravamo prefissati. Volevamo sorvolare il Tepui Marauaka, montagna di oltre 2800 metri, praticamente sconosciuta che si eleva a nord del massiccio del Duida. Era da mesi che sognavo di vedere questa montagna e di individuare e fotografare le enorme sime che si intravedono nelle foto satellitari. Purtroppo laggiú peró, in un mondo sconfinato di foreste, la situazione político-militare non si é rivelata per niente semplice e dopo due giorni di attesa a Puerto Ayacucho ci siamo visti negare l’autorizzazione al sorvolo dai vertici dell’esercito venezuelano. La motivazione addotta é che in quell’area ci sono miniere di uranio coperte da segreto di stato. Abbiamo quindi dovuto rimandare questo sognio a tempi migliori, speriamo in un futuro non troppo lontano, perché siamo certi che quella zona dell’Amazonas conserva gelosamente sistemi sotterranei importanti che forse non riusciamo neanche a immaginare.
Nei giorni successivi non ci siamo peró persi d’animo e abbiamo deciso di dedicare del tempo alla documentazione fotografica del piú noto ed accessibile Cerro Autana. Questa montagna, considerata dagli indios Piaroa come il tronco dell’albero della vita, si presenta come una fortezza imponente che si eleva per quasi mille metri dalle piatte foreste circostanti. Una meraviglia della natura, che racchiude tra l’altro nella sua cima un sistema labirintico di grotte di interstrato, esplorate negli anni ´70 dall’esploratore venezuelano Charles Brewer e dagli speleologi della SVE. Noi ci siamo limitati a risalire in barca il fiume Sipapo, affluente di destra dell’Orinoco, per poi continuare lungo il Rio Autana, fino quasi alle pendici dell’imponente montagna. Abbiamo poi realizzato un sorvolo dell’area, spaziando anche nel vasto massiccio del Cuao, altra montagna quarzitica che potrebbe riservare sorprese speleologiche per il futuro.
Ora il nostro viaggio in Venezuela sta volgendo a termine. Da Puerto Ayacucho, ci siamo diretti verso Merida, pasando dalle vaste pianure degli Ilanos, dove ci siamo soffermati un paio di giorni a pescare piraña, navigare tra gli alligatori e fotografare decine di specie di uccelli. Un posto meraviglioso per gli amanti della natura e degli animali. Poi siamo saliti sulle Ande, ubriacati da una salita di poche ore che ci ha portato dalle pianure ai 4200 metri del Pico del Aguila. Da quassú scenderemo domani a Caracas e da lí voleremo verso il Messico, con un po’ di nostalgia per questa terra meravigliosa con tutte le sue infinite bellezze naturali e contradizioni umane.

Da Merida

Francesco


L'Autana visto dal cielo.


Partendo da Puerto Samariapo sull'Orinoco, verso l'Autana.

Le grotte dell'Autana.


Risalendo le rapide del Sipapo.


Passeggiando tra i massi di granito a Pedra Pintao.


Fame?


Tramonto sul Pico de l'Aguila, a 4200 m s.l.m