giovedì 27 marzo 2025

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mercoledì 3 novembre 2021

Il continente buio - nuovo libro di Francesco Sauro edito da Il Saggiatore


Un viaggio alla scoperta del cosmo sotterraneo composto da grotte e caverne, labirinti e dedali, cunicoli e camere, pozzi e grandi laghi; un reticolo misterioso e seducente che resta l’ultima frontiera inesplorata del nostro pianeta.
 
Una piccola crepa che spacca la roccia. Oltre la fenditura, un passaggio che conduce al cuore della montagna. La flebile luce della fiamma sul casco dello speleologo danza là dove prima c'era il buio assoluto. Il percorso si spinge sempre più in profondità, lungo il solco scavato da un antico torrente. Un cunicolo porta a un lago nero. Lo speleologo poggia il casco, si spoglia, prende fiato e si tuffa, per scoprire che oltre c'è un altro passaggio, un pertugio che invita a continuare il viaggio. Non importa quante volte l'abbia affrontato, perlustrato, sfidato: il continente buio continua a sedurlo.
Francesco Sauro ha risposto al richiamo del continente buio fin da ragazzino, quando andava alla ricerca di qualunque fessura che potesse farlo entrare nel cuore della Terra. Oggi nel suo sguardo alla passione giovanile si mescola il desiderio di conoscenza dello scienziato. In Il continente buio le storie delle sue avventure si intrecciano con i resoconti scientifici delle spedizioni: a ogni discesa il rilevamento della topografia, delle tracce sonore, della composizione dell’atmosfera, dell’età di morfologie primordiali traccia per chi resta in superficie una mappa in continua evoluzione di un cosmo nascosto che ha i suoi punti di accesso nelle grotte delle Dolomiti quanto nell'Himalaya, tra i Monti Lessini come in Venezuela. Ovunque la terra offra un’apertura, c’è qualcosa di nuovo da scoprire.

Ultima frontiera dell’esplorazione terrestre, il sottosuolo è un universo misterioso, un reticolo di gallerie in cui ci si può imbattere in cascate altissime, creature luminescenti, echi misteriosi, vapori infernali, sculture votive primitive, scheletri abbandonati e il buio: dappertutto, sempre, l’ignoto, il buio. Un universo in cui l’essere umano deve fare continuamente i conti con se stesso, con i limiti del proprio corpo e della propria intelligenza. In cui insieme ai confini della Terra si esplorano quelli dell’umanità.








domenica 10 marzo 2019

Dentro la calotta Groenlandese

Siamo abituati a immaginare ciò che si estende sotto la superficie del nostro pianeta come un mondo totalmente oscuro, dove nessun fotone riesce a penetrare. Il buio è lo stato naturale del regno sotterraneo, tuttavia esiste un’unica meravigliosa eccezione. Per sperimentarla è necessario avventurarsi in uno dei luoghi più pericolosi ed effimeri del nostro pianeta: il cuore dei ghiacciai.
Quando d’estate il calore fonde la superficie del ghiaccio, l’acqua si raccoglie in rivoli, torrenti e talvolta veri e propri fiumi che, raggiungendo una temperatura di poco superiore allo zero, possono infiltrarsi nei crepacci e, fondendo altro ghiaccio, creare delle grandi voragini chiamate dagli scienziati “mulini“ glaciali. Da qui queste acque tumultuose continuano il loro viaggio fluttuante, fino a giungere al fronte, dopo un percorso lungo talvolta decine di chilometri. Il processo dura poche settimane e non appena ritorna il freddo dell’inverno i fiumi si arrestano, nuovamente congelati, e le grandi grotte glaciali scavate dai corsi d’acqua, per un breve e imprevedibile tempo, possono essere esplorate.
La calotta groenlandese è senza pari al mondo per questo fenomeno. Qui ogni estate 270 tonnellate di ghiaccio fondono e intraprendono un viaggio sotterraneo all’interno del ghiaccio il cui percorso è sconosciuto.
Sorvolando l’immensa superficie ghiacciata in cerca di fiumi, nel luglio del 2017, insieme con il collega fotografo e glaciologo Alessio Romeo, ci trovavamo a fantasticare degli immensi mondi che si sviluppano sotto la superficie della Groenlandia. In un paio d’ore di volo avevamo individuato corsi d’acqua dalle portate di centinaia di metri cubi al secondo che sparivano con rombanti cascate in grandi mulini. Ora, a fine settembre, siamo tornati per verificare se quelle cascate sono ritornate inermi e cristallizzate dalle fredde notti autunnali, permettendoci di penetrare all’interno della calotta. Siamo un gruppo di speleologi, glaciologi e documentaristi, uniti sotto l’egida del progetto “Moncler Inside the Glaciers”, decisi a intraprendere questo viaggio attraverso i ghiacci. Siamo stati lasciati qui ad oltre mille metri di quota nel mezzo della calotta glaciale da un elicottero Sikorski che ci verrà a riprendere solo tra otto giorni, il tempo necessario per riuscire a scendere almeno due grandi mulini.
Abbiamo esperienza di grotte nei ghiacciai delle Alpi e della Patagonia, ma qui è diverso, tutto è molto più grande. Il primo abisso lo affrontiamo in un freddo pomeriggio, affacciandoci su un baratro di oltre 120 metri di profondità. Scendendo sempre più in profondità, facendo scorrere le corde e avvitando le viti nel ghiaccio trasparente, la sensazione è come se mi stessi immergendo in un mare di acqua solida. Ad oltre cento metri sotto la superficie mi fermo sospeso al di sopra di un grande lago sotterraneo, probabilmente impossibile da superare. Qui le pareti della grotta non sono oscure, ma diffondono una luce diffusa, di colore blu intenso. Il ghiaccio, infatti, permette solo allo spettro blu della luce solare di attraversarlo, creando un effetto spettacolare. Qui sotto tutto è blu, e se spengo la luce del mio casco, le pareti si fondono un gioco caleidoscopico di riflessioni. Mi immagino le immense gallerie di cristallo illuminato di azzurro che si sviluppano sotto di me, impossibili da raggiungere. Mentre faccio questi pensieri, dalla vite da ghiaccio a cui sono ancorato, scatta improvvisamente un rumore sordo e un frattura si propaga come un fulmine nella parete. Il suo rimbombo attraversa la voragine lasciando spazio di nuovo al silenzio rotto solo dal battito del mio cuore, accelerato per lo spavento.
Questi non sono luoghi tranquilli, la loro bellezza è bilanciata da una sorta di inquietudine: fino a pochi giorni fa un’enorme cascata si gettava nel baratro, e tra poche settimane le pareti si avvicineranno plasmate dal loro stesso peso e la grotta si richiuderà su sé stessa. Ma quel blu meraviglioso rimarrà a illuminare le profondità del ghiaccio.

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All’uscita, nella notte polare, troviamo ad accoglierci una delle più intense aurore boreali degli ultimi anni, complice una tempesta solare che si sta abbattendo sulla terra proprio in questi giorni. Le sue frange di verde intenso danzano leggere sopra le nostre teste. Il cielo e la terra di ghiaccio, tutto è in continuo movimento.

Nel mulino Ice Alive, sotto di me oltre 100 metri di voragine inesplorata (foto di Alessio Romeo - Courtesy of Moncler)


Osservando particolari concrezioni di ghiaccio con l'amico Joseph Cook, anche lui Rolex Award nel 2016 (foto di Alessio Romeo - Courtesy of Moncler)


Il campo del 2017, in posizione strategica tra l'abisso Ice Alive e il Northern Lights (foto di Alessio Romeo - Courtesy of Moncler)


L'aurora illumina il campo del 2017 (foto di Alessio Romeo - Courtesy of Moncler)


lunedì 12 marzo 2018

L’archivio dei terremoti è nascosto nel sottosuolo


Solo a partire dal 19° secolo i sismografi ci permettono di localizzare e registrare l’intensità dei terremoti creando un archivio storico grazie al quale è stato valutato il rischio sismico delle diverse regioni italiane. Tuttavia, i dati in nostro possesso coprono un periodo estremamente breve nella concezione geologica del tempo, e per andare ancora più indietro nel passato è necessario accedere agli archivi naturali del sottosuolo.

Guardando le immagini del terremoto del Centro Italia risulta evidente più che mai come l’energia che si scatena sulla superficie con la propagazione delle onde sismiche, non solo devasta le opere dell’uomo, ma causa anche la formazione di nuove fratture e la caduta di blocchi dai versanti delle montagne. Le faglie aperte sui versanti del Monte Vettore nelle Marche ne sono un esempio, così come le frane avvenute sul Gran Sasso a partire dalla scossa del 24 agosto. Tuttavia, quello che non possiamo vedere con chiarezza è ciò che è avvenuto nel sottosuolo, nel luogo dove si è sprigionata tutta quell’impressionante energia. Un geologo attento può leggere nel paesaggio le evidenze dell’attività tettonica del passato, ma molto spesso queste sono mascherate dall’erosione, ed è veramente difficile assegnare una cronologia agli eventi e riuscire a capire quando e con quale frequenza una zona è stata colpita da sismi nelle ultime migliaia di anni.
Lo strumento più potente per leggere la sismicità del passato è rappresentato dalle stalagmiti, formazioni di carbonato di calcio, frequenti in moltissime grotte del mondo, e che hanno registrato i terremoti sotto forma di microfratture, cambi del proprio asse di sviluppo o crolli. Le stalagmiti sono un po’ come gli alberi, dove gli anelli di crescita si possono datare con sistemi radiometrici e quindi è possibile assegnare una data certa a ogni evento con notevole precisione, spingendosi fino ad oltre un milione di anni dal presente
Durante l’esplorazione del sistema di grotte dei Piani Eterni nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi mi ero imbattuto in un enigma affascinante: in una delle gallerie più profonde avevamo scoperto una grande stalagmite crollata come un tronco d’albero sul pavimento della galleria sotterranea. Già alla prima vista era evidente che questa colonna, se rimessa in piedi nella sua posizione originale, non poteva essere contenuta tra il pavimento e il soffitto, troppo basso in quel punto. Grazie a una datazione assoluta effettuata sulla colonna con il metodo dell’Uranio/Torio è stato possibile dedurre che centonovantamila anni fa un terremoto, chissà di quale intensità, aveva spostato gli strati di roccia abbassando il soffitto di quella caverna e causando il crollo della grande colonna. Difficile immaginare cosa avrebbe significato trovarsi laggiù in quel momento.
Ma questo non è l’unico caso. Tracce di terremoti nelle stalagmiti sono state individuate in moltissime grotte italiane, tra cui anche nelle famose Grotte di Frasassi. Sui Monti Lessini alle spalle di Verona un’altra grotta ha fornito una stalagmite le cui variazioni nell’asse di crescita sono state associate al terremoto di Verona del 1117, uno dei più devastanti sismi mai avvenuti nella penisola italiana (considerato di grado 8 della Scala Mercalli e che ha causato la distruzione di Verona, Padova, Trento e Cremona). Ma non solo, la stessa stalagmite ha rivelato la presenza di altri sismi di simile intensità avvenuti con una cadenza circa millenale fin dalla preistoria.
Ricercare i segni dei terremoti del passato nel sottosuolo potrebbe apparire una ricerca fine a sé stessa, un fatto di puro interesse storico. Ma quando ci si trova con la terra che trema sotto i nostri piedi ci si rende conto improvvisamente che, entrando nel concetto di tempo geologico, tutto è collegato. Il terremoto è solo uno sui milioni di eventi sismici che sono responsabili della formazione della struttura naturale del nostro paese, del sollevamento prima delle Alpi e poi degli Appennini. Ci troviamo di fronte a un processo che nel nostro concetto umano del tempo facciamo davvero fatica a comprendere, un evento eccezionale per noi uomini, che invece ragionando coi tempi di evoluzione del nostro pianeta rientrerebbe nella normalità.  Trovare degli indizi che ci dicano se una zona del nostro paese era attiva in un passato non così geologicamente lontano, ci permette di prepararci per il futuro e a considerare la nostra terra come un essere vivo la cui enorme energia va assecondata e non ignorata.



La grande faglia di Cimia emerge in superficie e taglia il sistema carsico dei Piani Eterni. Molte gallerie di questa grotta sono state intersecate da attività tettonica nell'ultimo milione di anni. 


Nella galleria del Teatro nei Piani Eterni una grande stalagmite è crollata 190 mila anni fa a causa di un terremoto che ha spostato il tetto della caverna.